Anderville GDR

Appartamento di Midnight Rose

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Midnight_Rose
view post Posted on 3/2/2011, 20:55





L’appartamento è situato in un palazzone dalla facciata in mattoni mezzi scrostati e corrosi dalle intemperie. Vi si accede da un piccolo cancelletto che s’affaccia su di una sorta di giardino mal tenuto, con qualche arbusto dimenticato da Dio qua e là. Presenta dodici piani, con tre appartamenti a piano, e quello della demone è situato al nono. C’è l’ascensore, ma tende a funzionare ad intervalli irregolari. È anche presente un portinaio: un ubriacone che tende a ronfare, russando sonoramente, nella su guardiola senza preoccuparsi troppo di chi esce e chi entra.

Il bilocale è stato preso da Midnight già arredato, con il divieto tassativo di ritinteggiare perché a detta del padrone era stato dato il bianco qualche mese prima lei lo affittasse. Oltre a questo le è vietato introdurre qualsiasi tipo di animale, volatile, pesce rosso, cane o gatto che sia, appendere quadri o stampe alle pareti che richiedano l’uso di chiodi e tenere piante. Le è, però, concesso fumare in casa.

Veniamo alla descrizione degli interni: l’entrata s’affaccia su di un salotto striminzito, dalle pareti che una volta dovevano essere color crema ed ora hanno una sfumatura panna sporca, come tutto il resto della casa. Sulla sinistra è disposto un divano in pelle caramello parecchio consunto, da quattro posti, con tanti cuscini ed annessa poltroncina sistemata su un lato della parete, quello che fa vagamente angolo. Sopra quest’ultima qualche mensola in legno di noce -ovviamente solo del colore di tale legno, in realtà sono di truciolato- sulla quale la demone ha sistemato libri e libricini vari. Niente televisione, solo un balcone di dimensioni ridotte, per far prendere un po’ d’aria alla casa. Di fronte al divano un tavolo per quattro persone con annesse sedie, della stessa tinta delle mensole, ed alle spalle di questo l’angolo cottura con tutti gli elettrodomestici indispensabili, anche se un po’ vecchiotti, di un classico color panna, come le piastrelle che rendono il piccolo spazio un po’ più luminoso, vista la mancanza di finestre o punti luce. Sulla destra, sempre rispetto l’entrata, un corridoietto che porta alla camera da letto, al bagno ed al ripostiglio. Imboccandolo si incontra prima la toilette, arredata con lo stretto indispensabile; in sequenza: lavabo con mobilettino inferiore annesso (quattro sportelli, due per lato), water e bidet sul lato destro, doccia ad angolo -niente vasca-, attaccapanni ed una piccola vetrina con prodotti vari di fronte. Una piccola finestrella quadrata, ornata di una tendina in pizzo, sta accanto alla doccia. La camera da letto è interamente occupata dal un letto matrimoniale con qualche cuscino sparso sopra, davanti al quale staziona un modesto armadio con doppie ante scorrevoli. Entrambi hanno l’aria di aver passato qualche inverno di troppo, ma scricchiolii a parte si reggono ancora in piedi. Nell’esatta metà tra i due, sulla parete di fondo, un piccolo balconcino. La dispensa, o ripostiglio, non è altro che un rettangolino cieco, dall’aria vagamente opprimente, oberato di scatole e scatoloni delle più varie dimensioni. Un mensolato di tre piani funge anche da piccolo angolo per le scorte di acqua, birra e tutto quanto non deve essere tenuto in frigo.

Particolarità: nella casa persiste un odore di rose appena accennato, affatto nauseante o troppo intenso, inoltre è sempre tutto molto pulito ed ordinato, dettaglio che contrasta con lo squallore di mobili e pareti.
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 4/2/2011, 23:12




SPOILER (click to view)
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Dopo quello sfogo improvviso le tempie avevano iniziato a martellarle tanto intensamente da costringerla a tenere gli occhi socchiusi. Aveva decisamente perso le staffe a causa delle troppe novità tutte assieme, dell’inamovibilità del rosso e del fatto detestasse con tutta se stessa l’esistenza che si era costretta a vivere. E se n’era completamente fregata del suo sguardo stupito, mentre ammutolito l’ascoltava senza cercare in alcuna maniera di fermare quello sfogo. Forse Raven intuiva quello era l’unico modo per permetterle di calmarsi dopo, ammesso e non concesso ci fosse riuscita. D’improvviso si sentiva addosso tutta la stanchezza della giornata: si era svegliata presto, aveva fatto qualche commissione di fretta ed a lavoro le toccava il doppio turno. Fosse stata una donna, un’umana qualunque sarebbe stramazzata a terra dalla stanchezza da un pezzo. Non aveva nemmeno avuto il tempo per fare la spesa, ma quello era davvero poco rilevante. Mangiava veramente poco in quell’ultimo periodo, tant’è che stava perdendo qualche chilo. In compenso beveva come una spugna, a qualunque ora del giorno, senza riuscire a prendersi una di quelle sbronze da dimenticarsi chi era e come si chiamava. Ahilei, reggeva fin troppo bene l’alcool.
Ecco l’ennesima azione inutile della serata. Aveva seriamente sperato che Raven s’indispettisse o comunque si desse per vinto e lasciasse in santa pace una volta per tutte. A quanto pareva o non era stata troppo cattiva, o lui era veramente intenzionato ad aiutarla e basta. Non riusciva a convincere quest’ultima analisi fosse quella corretta, così si diede della incapace, neanche più in grado di scoccare frecciatine come si doveva. Appoggiata di peso ad un fianco della sua auto, guardava il rosso che portava un’ari vagamente sofferente ma nulla di più. Ammutolita, s’era resa improvvisamente conto che il caduto, o qualunque cosa fosse diventato, piuttosto ce l’avrebbe portata di peso, ma non avrebbe cambiato idea su programmi per quella sera. Era costretta a portarselo fino a casa, fargli fare un bellissimo e gratuito tour turistico per il suo squallido bilocale e poi? Non ne aveva idea. Forse allora l’avrebbe lasciata in pace, a marcire all’interno della sua vita posticcia. Dato le sfortune non arrivavano mai sole, per quella sera nessuno aveva richiesto i suoi servigi da mercenaria e quindi non poteva nemmeno trovare una scusa per cacciarlo via prima del previsto. Si prospettava una serata veramente meravigliosa. Mentre l’orgoglio scalpitava e le gridava animatamente di non dargliela vinta, Midnight si rendeva conto che Raven aveva avuto la meglio sulla sua testardaggine. And the winner is… Raven! Din, din, din! Tanta felicità! Seh, come no. Afferrò si e no la metà di quel che ebbe da dirle, ovviamente senza pensare nemmeno di sfiorarlo anche solo con un dito. L’argomento Shannon era stato veramente un colpo basso, affatto da lei. O forse sì, era capace di tutto quando il dolore e la rabbia prendevano il sopravvento, ma lui non si era scomposto più di tanto e non le aveva rimandato che qualche parola ferma.
Lo lasciò andare a recuperare le chiavi, senza muovere un solo muscolo. Quando rimase sola, ancora avvolta in quel paio indumenti di proprietà del moro, la sua facciata da dura crollò, facendo emergere sul viso tutta la frustrazione, l’angoscia ed il panico che aveva dentro. Qualche lacrima, semplice figlia dei nervi ormai saltati, le bagnò le guance andando poi a ricadere sul colletto del giaccone. Si pulì il viso con gesti rabbiosi, scattanti. Ci mancava solo la vedesse piangere ed il suo orgoglio si sarebbe fatto carne solo per dargliele di santa ragione e poi strozzarla. Non passò molto perché potesse vederlo tornare, avvolto solo in quella sua dolcevita marrone. Rimase zitta, senza porre domande, immaginando fosse stato sommerso da domande ed insinuazioni varie ed essendo altrettanto convinta lui non s’era lasciato scappare più del necessario. Al momento, comunque, il suo ultimo problema era quello che avrebbero pensato il suo capo ed i suoi colleghi, potevano tutti bruciare all’inferno, per quel che le interessava. Doveva anche aver armeggiato con la sua borsa, visto teneva le chiavi in mano. Come la portiera venne aperta, si infilò in macchina, proferendo giusto qualche striminzita parole che gli permettesse di capire dove abitasse, poi si rannicchiò sul sedile, appena reclinato all’indietro, gli voltò la schiena e non fece altro, per tutto il viaggio, che fissare i paesaggio fuori dal finestrino. Il corpo intanto smetteva di tremare, erano stati accesi i riscaldamenti all’interno dell’abitacolo, ma non voleva togliersi di dosso felpa e cappotto, chissà perché le davano uno strano senso di protezione.


Intanto che l’auto macinava chilometri il panorama fuori cambiava. Dalla zona centrale della città ci si spostava verso quella più periferica e popolare, dove i modesti palazzi altolocati si trasformavano in palazzoni impassibilmente alti e mal tenuti. I giardini verdi e rigogliosi, si mutavano in accozzaglie di sterpaglie, di rado tagliate in cui nessuna madre sana di mente avrebbe mai mandato a giocare il proprio figlio. Eppure qualche piccolo che giocava c’era. Midnight preferì non soffermarsi su dettagli di quel genere, era fin troppo abbattuta, il ricordi di Amos non l’avrebbe sopportato. La Plymouth con un rombo si fermò davanti ad una costruzione forse degli anni Cinquanta, di dodici piani, dall’aspetto vagamente spettrale e tutt’altro che accogliente. Solo in quel momento la demone parve ricordarsi di avere un corpo funzionante. Ancora senza dire nulla aprì la portiera e si avviò verso il cancelleto e poi il portone d’ingresso, aprendo entrambi con le chiavi che aveva preso dalla borsa. Non si voltò a guardare se Raven la seguiva, ma era certa fosse così. Figurarsi se avesse desistito permettendole di non far crollare quel poco di parvenza di donna di classe che ancora poteva avere. S’infilò nell’ascensione che odorava di deodorante chimico per ambienti, tutt’altro che piacevole a suo avviso, schiacciando il pulsante consulto che indicava, ormai sbiadito, il numero nove. Il tragitto non le era mai sembrato così lungo, forse per colpa dello spazio ristretto in cui era costretta a stare, fin troppo vicina al suo indesiderato ospite. Ebbe un’illuminazione: aveva bisogno di qualcosa di forte. Sì, un whiskey, senz’ombra di dubbio.
Con un sonoro ‘plin!’ il trabicolo metallico, che quella sera aveva miracolosamente funzionato senza rimanere bloccato, aveva aperto le sue porte, facendo presente ai viaggiatori fossero arrivati. Quasi con sollievo Midngiht uscì e si ritrovò sul pianerottolo. Si indirizzò verso destra. Infilò le chiavi nella toppa e con un sonoro scricchiolio la porta si aprì, dando vista ad un salottino piccolo e buio. Accese la luce, dando quasi vita ad un ambiente tristemente vuoto. Le pareti color panna porca davano un’aria fin troppo vissuta alla casa e si vedeva il mobilio non era nuovo, ma usato ed anche tanto. Quantomeno l’interno era caldo e confortevole, anche se non proprio di bell’aspetto. Permeava un profumo leggero di rose, come sempre in qualsiasi luogo considerasse casa, ma non c’erano vasi a rendere più piacevole l’ambiente. Si diresse verso il divano, dove poggiò il cappotto e la felpa di lui, rimanendo con indosso solo la divisa da lavoro. Continuando ad ostentare un mutismo totale e completo, nemmeno degnò di un’occhiata Raven e andò in camera da letto a cambiarsi. Tempo dieci minuti e tornò, scalza, con un paio di pantaloni di una tuta slabrati, di un nero svalato che aveva visto troppi lavaggi, ed un felpone sformato dello stesso colore dei primi che le copriva le curve. Come se fosse possibile quell’abbigliamento la fece sembrare ancora più fragile e piccina, oltre che vagamente sciatta.
Se ne fregò delle buone maniere e prima che potesse accorgersene aveva tirato fuori da un’alta del cucinino una bottiglia di whiskey, non il suo amato JD, uno di quei liquori da quattro soldi, piuttosto scadente, ma abbastanza forte. Se ne versò un bicchiere intero e ne bevve la metà in un sol sorso, appurando le dita le funzionavano ancora.
 
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view post Posted on 4/2/2011, 23:59
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Dopotutto, il viaggio in macchina era andato meglio di quanto sperasse. Midnight non aveva proferito una sola parola dopo avergli dato qualche striminzita indicazione, ma abbastanza perchè potesse portarla a casa, e almeno non aveva dovuto sentire altro a proposito di quanto gli faceva schifo, quanto lo odiava e via dicendo. Aveva perfino acceso la radio per riempire il silenzio, nel momento in cui aveva spento il riscaldamento finendo di sentire il debole rumore del soffione d'aria calda partire dalle aperture dell'impianto di condizionamento della macchina. Abbastanza scarsa, dal valore economico esiguo, ma per lo meno mandava musica decente. Tenendola bassa, in modo la demone potesse riposare almeno un po', s'era diretto a casa sua.
Si era fermato parcheggiando davanti ad un condominio stile puramente anni '50 decrepito e fatiscente, che gli aveva fatto scoccare un'occhiataccia ai dintorni, giardinetti vuoti e palazzine distrutte comprese. Gli ricordava tanto quello quello stesso condominio in cui lui e Shannon avevano vissuto a lungo insieme una volta scappati di casa, ma l'aria del posto era tutt'altra: sembrava pregna di povertà, disperazione, e c'era odore di umido e puzza di bruciato. Una casa andata a fuoco, un impianto rotto o una pentola lasciata troppo sui fornelli? Non lo sapeva, e solo lui riusciva a sentire quella debole traccia che già gli dava la nausea. Spense la macchina, tirò fuori le chiavi e scese, senza offrire nessun aiuto a Midnight che aveva già deciso di filarsela. Fece in fretta a raggiungerla, fissando il luogo qua e là come se fosse una pozza d'acido da evitare: il neonato senso della pulizia e dell'ordine che aveva acquisito a forza di fare i mestieri da solo in casa a volte era snervante da ascoltare, ma utile a non ritrovarsi in condizioni simili. Tuttavia, nonostante l'impressione e il presentimento di come avrebbe trovato la casa della demone, salì ugualmente assieme a lei, affrettandosi a raggiungerla. Arrivò all'ascensore, dove consumati ingranaggi funzionavano quasi con difficoltà. Tutta la struttura sapeva di polvere e sudore, ma mai come ad entrare nel freddo contenitore metallico che si chiuse dietro di loro, stridendo. Piano numero nove, appartamento indefinito: un senso di disagio riuscì a prenderlo alla gola non appena si ritrovò solo con Midnight chiuso lì dentro, sapendo che se l'avesse voluto bruciare non ci sarebbe stata nessuna via di fuga, ma svanì al semplice aprirsi delle porte, sentendo i passi della donna procedere avanti.
Di nuovo, non potè far altro che seguirla mantenendosi a poca distanza, guardando i muri sporchi e le piante d'appartamento che qualcuno aveva avuto la buona idea di esporre, lasciandole però nell'incuria. Un posto da brividi, che se solo fosse rimasto disabitato avrebbe fatto da buon contenitore per fantasmi: a buon intenditore..
Finalmente, arrivò all'appartamento. Attese che la porta gli fosse aperta con un cigolio e un fragoroso rumore per lo scatto della serratura, e quando entrò, si guardò attorno leggermente spaesato. Il piccolo buco, da come gli sembrava, ad una prima occhiata era perfettamente pulito e ordinato, arredato col massimo del buongusto che forse Midnight si poteva permettere col suo nuovo lavoro. Eppure, nell'aria mancava qualcosa: bastava respirare per sentire un vuoto enorme. C'era odore d'alcool, odore di bagnoschiuma, di saponi, rose.. ma mancava l'odore di cibo? Possibile?
La vide poggiare il suo cappotto e la felpa sul divano, mentre presumibilmente andava a cambiarsi, e decise per una breve ispezione. Non vergognandosene assolutamente, si avvicinò ai fornelli annusandoli. Quei cosi.. non andavano da una marea di tempo. Odori di unto, fritto e alimenti saturi di olio e grassi intaccavano anche l'acciaio, generalmente, ma lì non ce n'era traccia. C'era piuttosto una punta amarognola dovuta al whiskey, ma a quella non fece assolutamente caso. Ancora più svergognato di prima, aprì di soppiatto il frigorifero: nulla avrebbe potuto prepararlo ad una simile accoglienza, dove al posto del ghiaccio e degli scaffali si sarebbe potuto mettere ragnatele e mosche. Sgomento dalla cosa, ma sentendo d'anticipo che la demone stava tornando, si diresse di nuovo nel salotto privo di abbellimenti, stranamente piatto, grigio, senza colore. Era davvero quella la casa in cui viveva? Se era così, era uno sfacelo - o non faceva la spesa da giorni, oppure non mangiava da fin troppo tempo, lavorando e sgobbando nel mentre. Non l'avrebbe potuta lasciare lì nemmeno se l'avesse voluto.
Distratto un attimo dalle sue considerazioni, tornò alla realtà dei fatti quando la vide con in mano la serie di indumenti più antisesso del mondo e un bicchiere di quello stesso whiskey di cui aveva sentito l'odore prima. Mentre lei ingollava giù la quantità esatta del bicchierino, sembrando quasi non risentirne, lui prese la sua decisione. Si portò verso il divano, riprendendo la felpa per rimettersela e il giubbino sottobraccio.
Rivestiti e prendi le tue cose. Ce ne andiamo da qui.
Non era uno scherzo, quanto più un ordine impartito, sebbene non avesse nessun diritto di trattarla a quel modo e lo sapesse. Ma lasciarla lì dentro, da sola, in un posto che dava la depressione solo a guardarlo? Mai. Preferiva saperla nutrita e dormiente a casa propria piuttosto che piena d'alcool come un'uovo lì dentro, magari a tagliarsi felicemente le vene. Sospirò, poi si mise a braccia conserte, osservandola senza una piega, sicuro come se lei fosse stata già d'accordo a seguirlo. In realtà non aveva certezze, ma comportandosi così almeno aveva dalla sua l'ottimismo. E una vaga sensazione che in effetti qualcosa di alcolico potesse servire a motivarla, almeno un tantino più di prima.
Non ti lascio qui dentro a marcire. Bel posto eccetera eccetera ma preferisco vederti altrove, dove non ti puoi tagliare le vene in santa pace. E dove c'è del whiskey di qualità, almeno, e non quella porcheria che ti stai bevendo.
Lo sapeva sempre dall'odore, troppo pungente e acidulo, e beh.. quest'ultima era vera. Aveva iniziato a bere anche lui, e a volte lo faceva per ore anche mentre stava lavorando; purtroppo però non ne risettiva affatto e serviva quanto a ingurgitare litri acqua: solo una vescica piena e nessuna sensazione di ebrezza. A volte avrebbe voluto romperle, quelle bottiglie, e se si trovava per strada lontano da sguardi indiscreti lo faceva anche, solo per il gusto di farlo, di sprecare. Essere in casa e dover pulire personalmente i propri pasticci, invece, non gli dava abbastanza ragioni. Comunque fosse, non scherzava.
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 5/2/2011, 20:52




Adesso doveva essere proprio contento. Anche l’ultimo velo di rispettabilità che aveva voluto mantenere almeno nelle apparenze era andato in fumo nel momento in cui l’uomo aveva messo gli occhi non sul palazzo, ma sul quartiere in cui aveva trovato alloggio. Non che a Nouvieille avesse una reggia, ma aveva sicuramente un appartamento più rispettabile di quella topaia che si costringeva, ora, a chiamare casa. Appena trasferita aveva davvero rischiato la depressione, che oltre al mobilio di gusto e qualità scadente, poteva annoverare vicini insopportabili, un padrone di casa tanto tachente che l’avrebbe voluto sgozzare ed un tranquillità praticamente inesistente visto le pereti parevano fatte di cartapesta e lasciavano trapelare ogni sorta di rumore emesso oltre quelle. Ad ogni cosa, tuttavia, ci fa l’abitudine e Midnight era riuscita a farsela anche per tutto quello. Si era come rassegnata: quello era il posto che le aspettava, niente di meglio e niente di peggio. Solo quello. Punto. L’importante era avere un tetto sulla testa con il quale ripararsi dalle intemperie, il resto era del tutto superfluo. Aveva iniziato a considerare come tale qualunque cosa non fosse strettamente indispensabile per campare: cibi troppo raffinati, trucco, smalto per le unghie, abiti ricercati, auto di lusso, un compagno fisso. E così eccola lì, nel suo squallido appartamento a bere whiskey della peggior qualità. Bastava solo avesse una gradazione abbastanza alta da permetterle di perdere cognizione di sé abbastanza in fretta, senza far troppo caso al gusto. Superfluo, superfluo, tutto superfluo! Solo le sigarette e le rose erano state escluse da questa definizione. Posato il bicchiere, con solo più un dito di liquore dentro, sul tavolo, accanto alla bottiglia appena aperta, s’era messa alla ricerca di quei cilindretti di veleno dentro alla borsa. Dovette frugare un po’, anche abbastanza animatamente -sintomo di quanto fosse molto poco calma- , per riuscire a trovare il pacchetto. Ne prese una, anche questa volta non offrì, e se la mise tra le labbra con movimenti svelti ed esperti, tornando a cercare nella borsa l’accendino. Questo sbucò fuori subito: uno zippo d’argento liscio, senza alcuna decorazione o fronzolo. Se l’accese ed aspirò a pieni polmoni, completamente incurante della possibilità di prendersi un tumore a furia di fumare come una turca. La morte era il minore dei suoi problemi, anzi proprio l’ultimo. Tornò al tavolo, riempì il bicchiere per oltre tre quarti e lo svuotò in breve con un paio di sorsi. “Non ho intenzione nè di rivestirmi, nè di muovermi da casa. A te potrà anche non piacere, ma ormai vivo qui da qualche mese e mi va più che bene.” Oh, aveva notato il modo in cui Raven si era guardato intorno dal momento in cui aveva visto il palazzone e non le era sfuggito il vago senso di disgusto che si era impossessato di lui da quel preciso istante. Il suo orgoglio, ormai, giaceva messo ko in qualche angolo del suo animo, non dando più di matto nel venire a conoscenza di simili dettagli. Gli aveva detto non era il caso andasse a casa sua, aveva tentato di avvertirlo come meglio aveva potuto, ma il caduto, o qualunque altra cosa fosse, s’era incaponito. Adesso, però, non poteva pretendere di perseverare nel fare il salvatore di donzelle squattrinate. Ne aveva avute vinte fin troppe in quell’ora e poco più che erano stati a contatto. “Non vado da nessuna parte. Non con te, oltretutto. Sto bene dove sono.” Era una bugia, ma tanto lui non avrebbe mai potuto saperlo, a meno che non fosse in grado di leggere nella mente e poteva fare il perentorio quanto caspita voleva, ma sarebbe stata inamovibile su quel punto. Non si sarebbe mossa di lì e se avesse osato prenderla con la forza, si sarebbe trovato di fronte una vera e propria furia. Quello che aveva visto fino a quel momento non era nulla in confronto a quanto incarognita potesse diventare.
Prese il bicchiere -ovviamente di nuovo riempito fino all’orlo- con la stessa mano che reggeva la sigaretta, dalla quale nel frattempo aveva preso lunghe boccate portandola a metà nel giro di un paio di minuti, e si accomodò sulla poltrona consunta accanto al divano. Sul bracciolo sinistro di questa stava un posacenere. Accavallò le gambe con la stessa sinuosità con cui aveva sempre compiuto quel genere di gesti. Ormai le era naturale e per quanto non volesse dar nell’occhio, dettagli del genere non dipendevano dalla sua volontà. Spostò il bicchiere dalla sinistra alla destra, bevve un abbondante sorso, aspirò dalla sigaretta e mentre lui disquisiva intensamente su di un paradiso dove avrebbe potuto trovare del whiskey di qualità, tutto gratis ovviamente, si mise a ridere. Sì, ride proprio di gusto, ma non con gli occhi. Quelli rimanevano freddi e sconvolti, sempre più segnati da occhiaie dovute allo stress accumulato ed alla stanchezza. La risata suonò scostante, affatto melodiosa ed armonica come le sue solite. Si capiva proprio non era nel pieno delle proprie capacità. “Puoi tenerti il tuo whiskey di qualità, Raven, a me basta un po’ di veleno ad alta gradazione alcolica.” ammiccò, con fare fintamente amichevole “Sono diventata una donna che si accontenta di poco, dovresti averlo inteso dopo aver visto questo.” e con un gesto plateale della mancina, quella libera, indicò il suo appartamento. Una nuova boccata, un nuovo sorso e di nuovo il bicchiere vuoto. Guardò quel recipiente di vetro colmo solo d’aria e sbuffò, si sarebbe dovuta alzare se avesse voluto riempirlo. Era diventata veramente una spugna. Peccato che, perché sentisse un minimo l’effetto dell’alcool, doveva scolarsi quasi una bottiglia intera. Poco male, tanto non aveva nulla di meglio da fare. Ormai era così che passava le sue serate: bevendo, fumando e rimuginando su ciò che era stato. Talvolta finiva col ritrovarsi con un terno di bottiglie vuote ai piedi della poltrona, allungata quasi più sul pavimento che su questa, a rivedere immagini di frangenti che avrebbe voluto solo cancellare. Si stava corrodendo pian piano dall’interno e la cosa le interessava quanto sapere a che punto fosse la situazione del buco dell’ozono. “Mi hai portata a casa, adesso puoi andartene. Prima però passami la bottiglia.” gliela indicò con un cenno della testa, mentre scrollava distrattamente la sigaretta nel posacenere per far cadere la parte cosunta e bruciata “Detesto avere il bicchiere vuoto.”

Edited by Midnight_Rose - 6/2/2011, 00:08
 
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view post Posted on 6/2/2011, 01:47
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Non poteva essere. Non poteva essere veramente lei quella donna incontrata in un fiorente appartamento arredato col gusto dell'antico, cosparso da rose, tende rossastre, mobili di marca antichi e lisci. Non poteva essere lei quella che l'aveva, nonostante tutto, ospitato sul divano morbido e nero quando aveva iniziato a rigurgitare sè stesso con insistenza, corrotto, vuoto, riempito da catrame e cattiveria. Ricordava bene quella sensazione, quella manifestazione parziale di sè che lo riempiva, si impossessava del suo corpo, lo dominava lasciandogli come sola scelta quella di soccombere e dimenticare. Lui aveva cercato ogni modo per non coinvolgere qualcuno, ma il compito era toccato a Mid, e non aveva potuto fare altro. Paura di sentire tanto dolore, troppo da soffocare, e paura di perdersi, di svanire. Non sarebbe riuscito a strapparsi il cuore se solo l'avesse dovuto fare da solo, così l'aveva costretta.
E ora, lui era tornato e lei se ne stava lì, a fumare, bere, dare mostra di quanta disgrazia gli avesse portato. Non era mai stato nient'altro che un angelo nero e se una parte del proprio cervello pensava che Midnight se lo fosse meritato, l'altra non accettava che lei si fosse abbandonata a quelle miserevoli condizioni. Pareti sporche, mobili usurati come le parole vuote che le uscivano da bocca, a riprova che niente di quello che diceva fosse vero. Le aveva rovinato la vita. Non se ne faceva certo una colpa, ma capiva, dalla modesta altezza della sua ritrovata umanità, che era una cosa abbastanza sbagliata da risultare imperdonabile. In passato era quello per cui avrebbe gioito, provocare dolore e disgrazia; ora si ritrovava semplicemente combattuto, senza sapere se doverne essere felice o provarne dispiacere.
La demone non si squassò, semplicemente ridendogli contro. Era andata a sedersi su un divano peggio che consunto, aveva rifiutato la sua proposta dicendogli che lo voleva fuori dai piedi, bevendo e fumando. Un'odore ben diverso da quello delle sue adorate sigarette si era sparso nell'aria, infastidendolo, ma non ne aveva dato prova se non per un breve cambiamento nel giallo degli occhi, appena più esteso di prima. In più, si era innervosito, inacidito sia dall'aroma del tabacco secco, sia dalla risposta: accontentarsi?
La prima, grande bugia l'avevano raccontata i suoi movimenti sinuosi esattamente come due anni prima, con quell'accavallare di gambe. Subito gli era venuto in mente il ricordo del locale, di come avevano ballato e anche un po' flirtato, di come entrambi si erano fatti infilzare, lui per dei piercing creati da lei, idem per l'incontrario, ma subito l'aveva ricacciato nei recessi della mente, tenendolo a bada per un momento successivo. La seconda, quella, era stata la risata, coronata da uno sguardo freddo e vuoto: aveva imparato grazie a quella ragazza del pub a riconoscere la differenza di espressione, e quando due occhi ridevano davvero o meno. Midnight non era contenta nè della sua vita nè di dove viveva, ma semplicemente non aveva la forza di ammetterlo. C'era anche da dire di come non avesse tutti i torti: Raven si era catapultato addosso a lei come una palla da bowling pronta a colpire il birillo, e l'aveva lasciata senza scelta, fin da quando l'aveva costretta a parlargli per arrivare ad ora che l'aveva riportata a casa. Non gli interessava, comunque. Se c'era ancora un risvolto mantenuto dal caduto che era stato, quello era un'enorme, grande riserva di menefreghismo che non si sarebbe mai esaurita del tutto finchè avesse avuto vita: sapeva ascoltare quello che voleva, e col tempo aveva perfino imparato a tenere fuori il resto, in un modo o nell'altro. Se qualcuno fosse tornato nella sua vita, forse, sarebbe stato abbastanza freddo e pronto a rispedircelo indietro, così.
Hai ragione, hai ragione. Te lo porto subito. Pronunciate perfettamente, le parole risultavano convincenti, ma l'espressione era solo una bella facciata di finta neutralità. Si, doveva dire per lui, ti comprendo perfettamente, ti lascerò tutti i tuoi spazi. Sono di troppo, hai ragione, me ne vado subito, ma prima fatti passare la bottiglia. Si rimise il giaccone in pochi gesti, facendolo scivolare sulle spalle e sottolineando involontariamente il movimento trattenendo il respiro, poi oltrepassò il divano sfiorandolo con le dita. La pelle consunta scricchiolò mentre ci premeva sopra, quasi spingendoci dentro le unghie in un latente moto di stizza che stava per sfociare in altro.
Vuoi anche le sigarette? Le raggiunse la borsa, si chinò a prendere le sigarette brevemente, poi si diresse verso il tavolo dove c'era la bottiglia di whiskey.
Ci si fermò proprio davanti, respirando piano, in realtà teso come una corda di violino.
Per prima cosa, toccò le sigarette con tutto il palmo, concentrando una minima quantità delle energie di cui disponeva ancora perchè l'aria dell'interno, umidiccia, si condensasse sopra tanto da formare uno strato di ghiaccio più o meno spesso. Non tanto per non farla fumare, ma perchè sciogliendosi il ghiaccio le avrebbe bagnate d'acqua, togliendole una delle ragioni di stare lì. Velocemente, subito dopo, prese la bottiglia aperta. Quella era una vera e propria cattiveria, una violazione di tutti i codici civili e morali, ma semplicemente sorpassò sulla questione come se non fosse mai giunta al suo cervello. Si portò la bocca della bottiglia alle labbra, inspirò e iniziò a tracannare tutto d'un solo fiato, finendola il più velocemente possibile. Che schifo. Quella roba era piena d'alcool scadente, di cui sentiva anche troppo bene il sapore forte ed aspro. Gli sarebbe bruciato lo stomaco per ore dopo quella robaccia, ma tutto era meglio che lasciarla in quella topaia.
Infine, sbattuta la bottiglia vuota sul tavolo e prese le sigarette, si voltò e partì a tutta velocità verso di lei, furioso come non mai. Non voleva venire con le buone? L'avrebbe trascinata via con le cattive, fosse pure stato tenendola in braccio, raggiungendo a piedi casa sua mentre lei gli urlava e strepitava in spalle. Forse sarebbe stato meglio lasciarla ubriacare per bene prima, ma non aveva la pazienza di sopportare tanto, nè di farlo troppo a lungo. Così, le lanciò il pacchetto mezzo congelato sul tavolino, avventandosi immediatamente sul divano senza un'espressione che lo tradisse a parte l'ira e gli occhi. Le mani tentarono di cingerle con forza e sicurezza le spalle e le gambe, cercando di sollevarla in braccio per poi prenderla davvero a spalle come un sacco di patate. Quello sforzo probabilmente l'avrebbe ucciso dal dolore, ma era disposto a fare questo sacrificio pur di portarla da un'altra parte, meglio ancora se a casa sua dove avrebbe potuto farla mangiare e riposare. Se lei avesse tentato di bruciarlo, avrebbe sopportato. Era vero, poteva ustionarsi e prendere fuoco facilmente, ma poteva anche congelare abbastanza le zone a rischio perchè non subisse troppi danni o corresse troppi rischi. Del resto, non poteva nemmeno farlo immediatamente o avrebbe rischiato di farle fare una polmonite, se non proprio un'ipotermia. Cosa avrebbe fatto Midnight, ora, contro la sua testardaggine?

CITAZIONE
Gelo: Raven può manipolare i liquidi e l'umidità presenti nelle immediate vicinanze per trasformarle in ghiaccio a scopo difensivo od offensivo, ad esempio congelando l'acqua o la brina raccolta dai vestiti per indurirli e farsi da scudo o raccogliendo quella nell'aria per creare un abbozzo di arma a partire dalla mano. Può anche abbassare la temperatura dell'ambiente in un raggio di 15 metri e fino ad un massimo di - 10 gradi.
3 turni
Turno I



Edited by 'Raven' - 6/2/2011, 02:57
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 6/2/2011, 12:09




La ragione le diceva ormai era diventata un’alcolizzata come tante, con una vita, un lavoro ed un appartamento schifosi, tanto acida da preferire la solitudine a qualsiasi tipo di compagnia e tanto ferita da non ammettere nessuna di queste cose. Più che la forza, le mancava la voglia di contrastare tutto questo, sopraffatta da un’accidia tale che, in quei momenti ad esempio, aveva preferito chiedere a lui di versarle da bere piuttosto che alzarsi e far tutto da sola, come sempre era stata abituata a fare. Ma si sentiva stanca, oh sì, così stanca. Avrebbe solo voluto dormire e non svegliarsi più. Talvolta quand’era completamente ubriaca si ritrovava a pensare che l’unica soluzione, l’unica via di uscita era quella di mettere fine a tutta questa mess’in scena stucchevole. Non era mai stata molto favorevole al suicidio ed allora trovava altre scappatoie per tentare di rimetterci la pelle. Qualche mese prima era stata ingaggiata per far fuori un suo concorrente, un altro mercenario che, a quel poco che lei aveva voluto sapere, aveva fatto male un lavoro, lasciando fin troppe tracce che avevano rischiato di far risalire al mandante. Si era presentata davanti al “collega” mezza ubriaca con solo un pugnale in mano. Per quanto male le fosse andata, ci aveva solo guadagnato una spalla lussata, una ferita poco sopra il fegato -di cui si vedeva appena la cicatrice-, qualche ammaccatura e la rottura di doversi sistemare da sola. All’ospedale non ci aveva mai pensato e non avrebbe di certo iniziato a frequentare quello di Anderville. Insomma, aveva fallito anche in una cosa così sciocca come tentare di trovare un nemico in grado di metterla fuori dai giochi una volta per tutte e allora continuava quella piatta esistenza, vagamente patetica oltretutto, senza senso alcuno. L’alcool, però, riusciva a quietarla un po’. Le annebbiava lo sguardo, come una droga e le forniva un’ovattata sensazione di pace quando ne beveva abbastanza da non capire più niente.
Non sapeva cosa aspettarsi da Raven, ma in realtà le importava solo si togliesse dai piedi e la lasciasse al suo mal celato tentativo di non commiserarsi lucidamente. Aspirò l’ultima boccata dalla sigaretta e ne buttò il mozzicone nel posacenere, sprimacciandolo per bene in modo smettesse di fumare. Una fitta ad una mano. La guardò, ricordandosi in quel momento della ferita che si era fatta al locale. Nulla di grave. Meglio pensare al mozzicone di Camel azzurre dall’odore pregnante e pungente, non troppo piacevole, che aveva lasciato nel posacenere. Aveva trovato solo quelle dal tabacchino della zona e non s’era permessa di far troppo la schizzinosa. Spostò il posacenere per terra, per non rischiare di farlo cadere con un gesto accidentale.
Un minimo di stupore le invase il volto quando lo sentì darle ragione e poi chiederle se desiderava il pacchetto. Che si fosse deciso a capire aveva solo bisogno di stare da sola? Lo sperava, lo sperava davvero. Sprofondata nella poltrona, le mani poggiate stancamente in grembo, si era limitata a fissarlo, senza fare una piega neppure quando aveva di nuovo frugato nella sua borsa. Tanto non c’era niente, lì dentro, che a lui potesse interessare in qualche modo. Forse la percezione di una strana tensione nell’aria avrebbe dovuto metterla in guardia, invece l’aveva ignorata, costringendosi a credere che di lì a poco l’incubo del suo passato che tornava e le travolgeva la vita sarebbe finito. In realtà, quello, era solo l’inizio. Vide il pacchetto diventare di ghiaccio sotto il tocco delle dita del moro. Stava forse avendo un abbaglio? Era forse l’alcool che le faceva vedere cose che non esistevano? No, certo che no, sentiva il leggero potere emanato da lui come tante piccole formiche che le camminavano sulla nuca. Sgranò gli occhi. Quello era l’ultimo pacchetto rimastole e doveva farselo bastare almeno fino al lunedì successivo -e contando riusciva a fumarne fino a due pacchetti e mezzo al giorno… Iniziò ad alterarsi. “Raven, che diavolo stai facendo?!” un ringhio basso, rabbioso, ma per il momento ancora non si mosse di lì. Non era ancora abbastanza. Il pacchetto di sigarette poteva andare, lo lasciò passare aggrappandosi disperatamente alla speranza dopo quello stupido dispetto se ne sarebbe andato. Perse definitivamente la calma quando lo vide appropriarsi della bottiglia ed iniziare a trangugiare come un disperato il suo distillato di buon’umore a poco prezzo. Tutto, ma quello no! Ne aveva bisogno! Non poteva rimanere senza, a meno che non avesse voluto dare di matto entro breve! “Luribo bastar-…” Fu sul punto di alzarsi, con tutto l’intento di prendere la bottiglia vuota e rompergliela in testa con foga, quando lo vide schizzare verso di sé, rabbioso come un cane picchiato, tentando di prenderla in braccio. Oppose resistenza come meglio potè, cercando si appallottolarsi e non lasciargli modo di trovare uno spazio dove infilare le braccia per cingerla, ma lui fece di meglio: se la caricò in spalle come avrebbe fatto con un sacco di patate o con un peso morto. Come diavolo si permetteva?! Gliene aveva già fatte passare troppe per esserle stato vicino forse solo un paio d’orette. Inizialmente scalciò solo, mollando randellate senza senso a destra e manca, acciecata dalla furia, più come avrebbe fatto Ambrosine che non come una che conosceva bene dove e come colpire. “Lasciami! Mettimi giù!” glielo strillava praticamente nelle orecchie. Poi qualcosa accadde, completamente fuori dal suo controllo.
La bottiglia di whiskey vuota, posata sul tavolo esplose, andando in mille pezzi e spargendo scaglie di vetro tutt’intorno. Le sue particelle avevano iniziato a muoversi tanto velocemente che l’energia scaturita aveva provocato l’esplosione. La stessa fine fece il pacchetto di sigaretta congelato. Si spaventò. Prese a tremare. Non era stato un gesto volontario, nemmeno aveva visto il movimento delle proprie mani che avevano innescato la reazione. Non aveva ancora imparato a controllare bene i suoi nuovi potere, che per altro, detestava in modo considerevole. Il potere era sgorgato e l’aveva canalizzato sulle prime cose le venissero a tiro, su cui posò lo sguardo. Spaventata, amareggiata, ferita nell’orgoglio e quasi disgustata da quel contatto che avrebbe desiderato quanto farsi torturare con i suoi stessi strumenti, l’unica cosa che le venne in mente di fare fu quella di richiamare a sé il fuoco. Era l’unico modo per evitare continuasse a tenerla come fosse un peso morto sulla spalla, ma era anche un ottimo metodo per mandare a fuoco la casa e non aveva certo i soldi per ripagarla per nuova, né la voglia di dare spiegazioni. Vedere il mondo all’ingiù, inoltre, iniziava a darle anche un vago senso di nausea. Lasciò perdere il fuoco e gli mollò una gomitata tra le scapole. Tentò il colpo una, due, tre volte, mandando la rabbia a diventare maggiore forza con cui colpire. Voleva solo essere libera. Tentò anche di sbilanciarsi di peso in avanti, disposta pure a cozzare con la faccia contro il pavimento pur di non dover sentire ad oltranza quelle braccia stringerla.
Si poteva leggere la disperazione più cieca nei suoi movimenti.

CITAZIONE
Manipolazione velocità molecolare: questo potere permette di modificare, in aumento od in diminuzione, la velocità di spostamento delle particelle che compongono qualsiasi oggetto, ottenendo così due risultati differenti: se usato come accelerazione il potere crea una tale energia all’interno delle molecole dell’oggetto da causarne l’esplosione, mentre se usato come inibizione il movimento delle particelle viene rallentato a tal punto da fermare il movimento dell’oggetto lungo la propria traiettoria. L’oggetto deve trovarsi in un raggio massimo di tre metri avendo come fulcro il punto in cui si trova la demone. Attivazione tramite comando mentale + gesto delle mani della demone. [Durata tre turni]

Turno I

 
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view post Posted on 6/2/2011, 13:55
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Midnight si era arrabbiata, Midnight aveva reagito spinta dalla disperazione non appena gli aveva toccato le sigarette, ora un cartoccio bagnato e sciolto, e la bottiglia, un contenitore vuoto, un'icona alla dissoluzione. Ma Raven era stato più veloce di lei e, sebbene avesse provato e stesse ancora cercando di costringerlo a metterla giù, se l'era issata in spalla di peso, sforzandosi di sopportare quei movimenti repentini necessari a prenderla che gli erano costati più dolori del dovuto. Non la poteva lasciare lì dentro, non la poteva lasciare tra le pareti bianco sporche e i mobili usurati, e nemmeno la poteva lasciare ad attendere lì suo figlio: ricordava che ancora ne avesse uno, ma con tutte le proprie forze sperava fosse da una babysitter o un parente, invece di essere costretto a vivere assieme alla madre in un'appartamento così squallido. Il figlio, Amos.. che una volta aveva tentato di portarle via, già. Lei non l'aveva menzionato, non ne aveva sentito l'odore nè la presenza in casa, e non era nemmeno sicuro di dove fosse. Che gli fosse successo qualcosa, tanto da ridurla.. a quello stato? Se un padre senza il proprio figlio diventava meno di niente, allora non voleva sapere cosa poteva succede ad una madre. Forse quello, forse peggio, non aveva voglia di scoprirlo.
La demone gridava, ma per quanto tirasse pugni e calci, scalpitandogli in spalle, lui non la mollava: era lì, ancorata alla meglio con la presa più salda che potesse adoperarle addosso, e non si sarebbe mossa di un millimetro se Raven non l'avesse voluto. Sarebbe stato immensamente più facile lasciarla nel suo squallore, eppure, si diceva l'ex-caduto, non poteva mollarla ad autocommiserarsi: quella casa gli ricordava troppo della sua prigione dorata, quella in cui aveva rischiato di perdersi allo sbando, per avere un solo motivo di abbandonarla nell'abitazione.
Piuttosto in strada, o piuttosto a casa sua. Forse per lei sarebbero state le scelte peggiori, ma per come la vedeva Raven, erano un buon compromesso, sopratutto l'ultima. E poi la sentiva, dal peso, dalle ossa che stringeva cercando di essere delicato e al contempo forte: era magra, molto più magra di un tempo. Si stava consumando.
Ad un tratto pezzi di vetro lo investirono da lontano, costringendolo a voltare la testa per non rischiare di venirne accecato: la bottiglia di whiskey era esplosa in mille pezzi. Subito dopo, seguirono anche frammenti ghiacciati di sigaretta, tabacco e pacchetto, e li guardò con stupore, non capendo pienamente cosa stesse succedendo. Il secondo dopo, sentendo Midnight tremare, comprese: era stata lei in uno scoppio incontrollato e involontario d'ira. Quindi poteva farlo esplodere in tanti coriandoli? L'istinto di sopravvivenza lo pungolò nel profondo chiedendogli, almeno per una volta, di non essere sciocco e di preoccuparsi, ma lo imbavagliò mettendolo a tacere in pochi attimi. Aveva l'impressione sarebbe comunque sopravvissuto, cosa per cui, sotto alcuni punti di vista, essere dei figli di Seth era molto ma molto comodo. Se avesse voluto avrebbe perfino potuto evitare tutta quella scenata trasformandosi, stringendola tra le spire e costringendola a muoversi con lui fino a casa, ma nemmeno sotto tortura sarebbe riuscita a vederlo ridotto a quell'aspetto, anche perchè sarebbe stato parecchio più debole per lei, che era un demone del fuoco. Preferiva sorbirsi un sacco di male da umano, che mettersi a rischio per comodità finendo per diventare il nuovo Guy Fawkes dell'anno.
Però non l'aveva ancora bruciato, forse perchè tentare di ferirlo con le mani nude era più soddisfacente o forse semplicemente per non mandare a fuoco l'appartamento che, in effetti, sarebbe stato difficile da ripagare con una buona spiegazione. In compenso, a parte un tentativo di sbilanciamento miseramente fallito, aveva ricevuto delle gomitate tra le scapole una peggio dell'altra: si era fermato, quasi perdendo l'equilibrio per un secondo, con le orecchie che gli fischiavano e macchie rossastre davanti agli occhi dal male cane. In effetti avrebbe avuto anche voglia di urlare, ma si era morso il labbro fino a penetrarlo coi denti piuttosto che lasciarle credere gli stesse facendo davvero qualcosa, empatia o no. Se fosse andata avanti così per tutto il tempo, però, sapeva il dolore si sarebbe fatto lancinante e che avrebbe dovuto rinunciare a qualche particolare umano, in cambio della forza e della resistenza che gli poteva offrire la sua forma un po' più.. combattiva. Pazienza, ci si sarebbe abituato, tanto ormai sentiva il sangue colargli lungo le scapole fino alla schiena senza poter far nulla per fermarlo. Le bende dovevano essere troppo pregne e troppo sporche: ancora un po', e il bordo dei pantaloni sarebbe diventato rosso.
Focalizzarsi su altro era quindi diventato il migliore dei passatempi alternativi, un modo per mantenere la lucidità necessaria e la coerenza: concentrarsi sul proprio corpo per rendersi di nuovo anonimo, da modo i passanti non facessero troppo caso a lui, concentrarsi sulle piante d'appartamento incurate lasciate fuori, concentrarsi sulla discesa di nove piani di scale a piedi. Per assicurarsi un maggiore equilibrio si teneva aggrappato con una mano al corrimano, ma per una volta avrebbe voluto essere abbastanza svestito da poter scalare tranquillamente la parete in ombra dell'edificio senza troppi problemi. Peccato che richiedesse uno strato sottile di vestiti, al massimo, a separarlo dalla superficie su cui rimanere attaccato, e peccato adesso fosse col giubbotto, la felpa e gli stivali. Anche con quelli aveva qualche difficoltà ad arrampicarsi restando aggrappato.
Così, nove piani, e tutta la strada a piedi da fare fino a casa propria, per cui avrebbe sfruttato le indicazioni di Midnight al contrario al fine di arrivare sano e salvo. Del proprio nido poi non si doveva proprio preoccupare: le pareti erano inifughe, e questo perchè a parte del parquet trattato con certi reagenti che gli impedivano di prendere fuoco, la struttura intera era stata fatta di cemento e mattoni, perfino la parte del soppalco per cui dal soffitto del salotto e dello studio si vedevano sporgere finte travi.
Solo i serramenti erano in legno, ma anche quello era stato prontamente trattato per dargli sempre una via di fuga: la sfidava a mandare a fuoco tutto, dove non c'erano tappeti e dove al massimo poteva creare una macchia scura e indistinta di bruciato per terra. Arrivati, l'avrebbe lasciata sul divano del soppalco dove non c'erano finestre da cui scappare, poi avrebbe chiuso la porta di casa e le finestre e avrebbe vigilato il salotto per il resto della serata, dopo essersi ovviamente cambiato nel bagno.
Non aveva intenzione di tenerla prigioniera, ma quella notte doveva dormire da lui, e forse anche quelle successive. Con la differenza che, poi, le avrebbe lasciato la porta aperta.
Tanto poteva trovarla in qualsiasi momento. Tanto, poteva raggiungerla, prenderla di nuovo e riportarla a casa come stava facendo adesso. Almeno, in un posto che potesse chiamare davvero casa.

CITAZIONE
Pelle di camaleonte:
questo potere da l'illusione il figlio di Seth abbia un aspetto particolarmente anonimo e difficile da ricordare, permettendogli di passare inosservato o confondersi nella folla. Nel bel mezzo di un combattimento, il setita sembrerà invisibile, ma rimane comunque corporeo.
Da livello 1 a 3: 3 turni
Turno I



Edited by 'Raven' - 6/2/2011, 14:17
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 6/2/2011, 16:10




SPOILER (click to view)
Continua QUI
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 9/11/2011, 14:40






La raccomandazione del setita la fa sorridere, ricordandole quella di tanto tempo prima, quando costretta a vivere da lui le aveva detto, più o meno, la stessa cosa. No, non sparirà nel nulla come ha già fatto un paio di volte. Ci sono troppe questioni in sospeso che devono essere affrontate una volta per tutte. Il tempo per dedicarcisi non mancherà di certo, adesso l’attende un pessimo lavoro.
Guidata dall’olfatto acuto riesce a raggiungere il corpo di Olaf, un’ispezione veloce e si rende conto che nessuno è ancora arrivato dal tedesco. È immobile, pallido come un cencio e dal respiro percepibile con molta difficoltà, una spalla è stata praticamente spolpata e quel che ne rimane è in una pozza di sangue, come tutto il resto del corpo -le ferite lasciate dal suo ciondolo hanno continuato la loro opera anche dopo esser tornate all’interno dello stesso. Verte in pessime condizioni, le probabilità possa sopravvivere sono bassissime e nel caso ce la facesse perderebbe comunque l’uso del sinistro. Gli sta facendo un favore. Prima di tutto recupera il ciondolo e lo mette al collo, poi lo prende per le ascelle e lo trascina nel folto, dove l’incendio sta divampando in maniera prepotente. I centocinquanta e più chili di peso dell’omone sembrano nulla, in quella forma. Ho vinto io… Inorgoglita gli si sistema accanto e, lasciandosi andare ad un sadico sorrisetto, affonda le unghie artigliate nel petto dell’uomo. Sfondata la cassa toracica, il cuore viene divelto, spremuto tra le dita e lasciato cadere con noncuranza dove il fuoco lo può divorare. Quello che ne segue è puro orrore, sicuro è che non riusciranno a riconoscerlo se non dopo un’attenta ricomposizione dei pezzi che, sicuro come l’oro, verranno mezzi carbonizzati. Sporca di sangue, ma dannatamente soddisfatta, sfrutta ancora la propria forma per giungere fino a casa, lasciando il fuoco faccia il suo egregio lavoro.

Alta nel cielo si sente libera, indomabile, felice. Meglio di una delle fiere di Dante, probabilmente con un aspetto che le ricorda in modo particolare, si gode la sensazione dell’aria che l’accarezza ogni parte del corpo. Ha l’impressione di riuscire a sentire ogni cellula esplodere di vita. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che s’è concessa una meraviglia del genere?! Altro che il sesso! Ridendo sa sola come una matta si rende conto di star tardando un po’ troppo. Già un’ora è trascorsa da quando ha dato le indicazioni a Raven. Meglio rincasare.
Torna in forma umana sul tetto di una palazzina diroccata proprio in fronte al palazzone dove ha il suo appartamento, del tutto occultato alla vita dato è circondato da altre costruzioni, tutte ormai in disuso. Inoltre il quartiere è quasi vuoto, sono tutti fuggiti verso luoghi migliori per vacanze a basto costo cui non si può mai dire di no. La trasformazione la lascia un po’ troppo rintronata, tanto è costretta a sedersi qualche minuto, complici la ferita alla schiena e la tensione. La pelle rosea è macchiata del proprio e del sangue di Olaf. Rimessasi in piedi e spostatasi dal luogo dove s’è trasformata, recupera un vestitino giallo -del tutto assurdo: un obrobrio molto corto e scollato, in cotone color evidenziatore con fiorellini rossi in ogni dove- da un filo per stendere di fortuna. Meglio quello che niente, sia mai qualche vicino la veda rincasare mostrando le grazie al mondo intero. Alza lo sguardo ed il palazzone deprimente nel quale vive le si presenta con tutta la sua tragica bruttezza. Un sospiro le scappa dalle labbra, mentre s’infila dentro -il portone è aperto per far arieggiare un po’ l’androne, se tutto fosse chiuse sembrerebbe di stare all’interno di un forno-, salutando il portiere già ubriaco e mezzo addormentato. Nemmeno tenta l’ascensore, sono due settimane che è fuori uso ed ancora non è stato possibile aggiustarlo. Anche il tecnico dev’essere in vacanza. Dopo nove piani di scale, recupera la chiave del proprio appartamento da sotto lo zerbino e l’apre, un pizzico di tensione ad attorcigliarle lo stomaco. Dall’interno ha sentito provenire qualche rumore, a riprova dell’inesistente spessore delle pareti. Ah, la pricavy! L’accoglie il consueto profumo di rosa ed il crema slavato delle pareti del suo soggiorno.
“Raven?” chiama, giusto per dirgli è arrivata, come promesso. Non si trova davanti il setita, ma sua versione miniaturizzata e femminile che la fissa con un paio d’occhioni verdi ed un sorrisone stampato sul visino. Imbambolata davanti alla porta, che fortunatamente s’è ricordata di chiudere, sozza di sangue e con quell’osceno coso addosso, sembra qualcuno l’abbia pietrificata. Una bambina, in casa sua! C’è davvero, sì? Non se la sta, per caso, sognando? Siamo proprio sicuri? Aveva giurato in casa sua non ci avrebbe messo piede nessun essere non fosse almeno maggiorenne. E invece… Ne ha una a meno di un metro, seduta su di uno dei cuscini che aveva messo per le poltrone ed il divano. Dirle ciao? Ignorarla e fuggire? Cacciarla insieme a suo padre? Scappare via lontano anni luce da lì e da ogni posto dove tutto ciò che respira e parla è già adulto? Le possibilità che le si presentano in mente sono molte, ma le lascia perdere quasi tutte e tiene per buona solo quella che la vede aggirare l’ostacolo. Almeno per un po’. “Ehm…” è evidente, è in piena difficoltà. “Mmh. Io... vado.” Non curante dell’arrivo o meno del padre della piccola si fionda verso il bagno, con tutta l’intenzione di darsi una pulita, sistemare le ferite e magari levarsi di dosso il vestito di fortuna.
 
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view post Posted on 9/11/2011, 16:53
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Dopo aver lasciato la piccola sul divano di Mid con accanto a Legione, mi rendo conto che ho bisogno di coprirmi e lavarmi, ma sorpatutto curarmi dalle innumerevoli ustioni che non se ne andranno via facilmente. Ripiego le ali dietro la schiena, solo per non combinare pasticci o gettare a terra qualche oggetto frantumabile, e mi muovo nel pulito e nel profumo di rose della casa. E'.. una bella sensazione riaverle addosso mentre si rigenerano lentamente, morbidamente appoggiate alle scapole, gli arti ossei esposti e flamenti di muscoli in lieve tensione. Arrivo quasi dove ricordo ci sia il bagno, evitando la cucina per non vedere eventuali pile di alcolici esposte che nemmeno la piccola dovrebbe osservare, e con apprensione mi volto verso di lei prima di andare e superare l'uscio: muove le gambine che penzolano da dove l'ho messa seduta, le manine in grembo, e si osserva attentamente attorno. Temo abbia preso la curiosità dal sottoscritto, perchè quando si accorge del mio sguardo lo ricambia, estasiata dalle morbidi appendici che non ha mai potuto notare su di me. Cerco di coprirmi con uno straccio trovato da qualche parte intanto, giusto per non farle vedere cose non adatte alla sua tenera età. Il mio tesoro..
Papà? Mi chiede. Mhm?
Quando hai finito, posso toccarle? E' quel genere di frasi che mi fanno spuntare un sorriso. Annuisco. Si, Amy. Ma fa la brava finchè non torno. E non bruciare i divani, gioca con Legione piuttosto. Le mie mille e uno anime sapranno tenerla impegnata, conversando con lei o cantandole qualche canzoncina non proprio usuale. D'altronde Legione è vecchio di secoli, non ci vedo niente di male, ed inoltre è molto più saggio di me. Forse avrei dovuto lasciare a lui il controllo, ripensando all'accaduto nel parco.. ma poi mi dico che non posso essere un bravo padre se non imparo ad affrontare con la mia testa certe situazioni. Me ne vado in bagno impossessandomi di un paio di asciugamani asciutti e preparandomi ad una doccia di pulizia molto, molto dolorosa.
Apro l'acqua tiepida, e mi ci infilo sotto con un'espressione indicante tutto il mio dolore, lasciandomi sfuggire un gemito che si abbassa fino a diventare appena percepibile. Le imprecazioni partono subito dopo, quando sono costretto a lavare ferite e ustioni con spugna e sapone mentre le ali mi tremano come forsennate, un po' come le dita che a malapena riescono a tenere in mano la spugna insaponata e pregna d'acqua e sangue. Mi guardo il petto ustionato dove due segni di mani aperte sono ben visibili sulla carne e poi le varie bruciature su spalle e schiena, che sono come crateri dove la carne viva è più chiara della pelle circostante quasi annerita. Almeno dei rovi, fortunatamente, non ho dovuto curarmi troppo: mi sono comunque preso due spine nelle costole e anche abbastanza in profondità, ma la trasformazione in rettile le ha rigenerate minimamente ed ora non sono un vero problema.
Esco dalla doccia calda stranamente tremante, scrollando le appendici gocciolanti perchè non perdano acqua in giro e legandomi un asciugamano ai fianchi per decenza. Mi tiro indietro i capelli con una passata di mano, il viso gocciolante. Dove tiene Midnight, le bende?
Proprio in quel momento, lupus in fabula, la donna fa la sua apparizione nel bagno trovandomi piegato a cercare tra cassetti ed antine qualcosa per coprire l'indecente devastazione che ho subito da poco. Ma per ora, almeno quella è sopportabile: il vero problema sarà quando dovrò di nuovo tagliare via le ali di nuovo, riaprendo ferite già guarite nel tempo e forse anche l'ennesima, nel cuore, che non riuscirà mai a cicatrizzarsi del tutto.
Notando la sua presenza volto la testa, facendo un accenno di saluto.
Cercavo delle bende e qualche pomata. Sai dove posso trovarle? Poi ripenso un attimo alla sua presenza lì, alla presenza della bimba di là..
Oh. Mi scappa, con un'espressione rabbuiata. Torno ai cassetti.
Va tutto bene? Se ti dà fastidio, ce ne andiamo subito.
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 11/11/2011, 15:11




Sì, una doccia le avrebbe tolto di dosso la stanchezza, la tensione ed anche quella strana inquietudine arrivata con la visione di quella piccola bambolina semovente tutta sorrisi ed occhioni. Il sangue addosso, rappreso e seccato, la infastidisce un poco: sente la pelle tirare e le ferite dolerle; se non vuole rischiare un’infezione di qualche tipo è meglio si dia una mossa a pulirle. Sia mai che Olaf avesse qualche malattia strana! E invece, spalancata la porta del piccolo bagno funzionale, lo trova occupato. La visione del lato B di Raven è quanto sta in primo piano, con quelle fantastiche ali color pece a svettare sul chiarore della pelle. Un asciugamano posto in vita le impedisce una sbirciata alle grazie maschili, ma su di quelle ci si sarebbe comunque soffermata poco anche avendole a vista. Quel che subito le salta all’occhio sono i segni d’ustione che porta addosso. Stranamente non si sente in colpa: lo aveva avvisato, cercando ogni modo possibile per evitare lo scontro -ed anche l’incontro, se proprio doveva essere sincera-, ma lui per motivi che tutt’ignora aveva fatto orecchie da mercante. Beh, alla fine della fiera s’è solo preso quanto s’è meritato. C’impiega un attimo a rendersi conto che lui è lì solo perché lei ce l’ha inviato, quasi se ne fosse dimenticata. Da come è preso a frugare tra i cassetti sta sicuramente cercando qualcosa, prima possa domandarglielo quello la nota e si volta. Bende e pomate, certo! Midnight, cosa vuoi che stia cercando uno che hai appena bruciacchiato? Dandosi da sola della stordita gli comunica un veloce “Non li trovi qui.” Venendo poi colta alla sprovvista dalla seguente domanda a bruciapelo. Il setita ha proprio un ottimo spirito d’osservazione, avendo colpito immediatamente nel segno. S’affretta a scuotere con convinzione il capo, aggiungendovi un gesto di noncuranza del braccio sfigurato. “No, no. È tutto apposto. Piuttosto vi consiglio di rimanere qui almeno un giorno, così che le acque si calmino un po’. Olaf aveva parecchi colleghi che non crederanno sia stato un mercenario a ridurlo in quel modo.” E lui non sa quanto male sia ridotto il tedesco, o quel che ne rimane di lui. Tuttavia non ha voglia al momento d’affrontare il discorso, lui ha bisogno di cure, lei di una doccia ed entrambi di un po’ di tranquillità. “Aspettami qui, torno subito.” E sparisce oltre la porta, andando in camera da letto a frugare alla ricerca di un paio di pantaloni gli possano stare. Spalancato l’armadio, in un cassetto interno, trova dei calzoni di una tuta, neri ed ampi, che sono dello stesso Raven. Glieli deve aver lasciati lì una di quelle sere in cui l’ha costretto ad andarla a recuperare in quella bettola che la demone s’ostina a chiamare appartamento. Passa poi dalla dispensa/sgabuzzino, dove prende da un ripiano sulla destra un barattolo colmo di un pastone di un dubbio colorito giallino. È una pomata, di quelle fatte dalle sue sante manine, creata apposta per le ustioni. Amido di patate, calendula, gel di aloe e spirito per disinfettare, lenire ed addolcire la pelle maltrattata. Non proprio piacevole vista la base alcolica, ma sicuramente utile. Un paio di minuti ed è di ritorno, il tutto tenuto in una mano. “Ti ho trovato solo dei pantaloni, all’intimo dovrai rinunciare,” e gli porge il tutto “quanto al barattolo c’è dentro una mistura che devi applicare abbondantemente sulla pelle ustionata finchè non secca, poi ci penserò io a rimuoverlo con una pezzuola umida ed a bendarti.” Suona parecchio come un ordine, per quanto il tono della demone sia uno dei più pratici e privo di sentimenti che lui abbia mai sentito. Sicura ed intransigente non lascia spazio a repliche neppure quando continua con un “Ho bisogno del bagno, dovrai andare a sistemarti in camera da letto. Nel caso avessi bisogno di antidolorifici fammelo sapere, te li porterò non appena finito.”
Esce nuovamente dal bagno, lasciandogli il tempo per sgomberare, andando a recuperare un cambio ed un paio di asciugamani visto lui ha usato l’unico pulito che aveva messo. Vi ritorna, trovandolo libero, portando con sé un paio di shorts neri ed una canottiera a coste strette bianca, larga ed affatto trasparente, oltre ad un cambio d’intimo che consiste in un semplice paio di slip dato il reggiseno, col regalino fattole da Raven, è del tutto fuori questione. Apre l’acqua della doccia, puntando il miscelatore sul punto più caldo ed infilandosi sotto solo quando quella è diventata bollente, dopo essersi denudata. L’improvviso bruciore della carne ferita le fa strizzare gli occhi ed esalare un sospiro tremante, ma rimane sotto sentendo, al contempo, la tensione che scivola via dal suo corpo, giù, verso lo scarico insieme all’acqua rossa di sangue. La passata di sapone è la ciliegina sulla torta di una giornata iniziata non proprio nel migliore dei modi. Altro bruciore a sommarsi al pulsare malsano precedente. Ne esce fumante, meno di un quarto d’ora dopo. Il riflesso della specchiera è meno peggio di quel che immagina: il volto è graffiato e rigato dalle spine sulla parte destra, solo un poco pallido, ma presentabile. Tutto sommato non sembra uscita da uno scontro nel quale ha rischiato l’osso del collo. La situazione peggiore è sulla schiena: la ferita che l’ha lasciato l’artiglio di Raven è arrossata, non troppo profonda ma bella lunga ed ha ripreso a sanguinare un poco, inoltre le crea qualche fastidio di troppo se muove il braccio sinistro e sfiorarla è come ricevere una stilettata. Meraviglioso, almeno i suoi gioielli d’inchiostro sono ancora integri! S’asciuga ed infila gli slip, lasciando i capelli avvolti nel candido asciugamano, prima di pensare al resto. Per il viso non fa molto, vi passa solo un po’ d’alcool di cui ha imbevuto un batuffolo di cotone; per la ferita, invece, oltre alla suddetta operazione è costretta anche ad un bendaggio, piuttosto scomodo, fatto di garze sterili e scotch di carta. Il tocco finale è ingollare un paio di antidolorifici abbastanza forti da rintronarla col passare del tempo et voilà, è pronta ad affrontare setita senior e junior.
Sistemato velocemente il bagno e vestitasi, torna dai suoi ospiti, i capelli vaporosi ed umidi a ricaderle sulle spalle a camuffare eventuali visioni di bendaggi non desiderate. “Avete fame?”
 
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view post Posted on 11/11/2011, 15:53
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Mentre Amy gioca con Legione, che ogni tanto interrompe le sue storie per informarmi di cosa succede nel salotto, io mi faccio riempire le mani da Midnight, che mi dà un cambio di pantaloni miei che chissà quando ho lasciato da lei - purtroppo senza intimo - , una pomata e delle bende, per poi andarsene e lasciarmi il tempo di liberare il bagno. Come detto dalla proprietaria, silenziosamente mi dirigo alla camera da letto, dove ho tutto il tempo di vestirmi e rendermi almeno decente togliendo l'asciugamano e infilando il paio di pantaloni morbidi e leggermente foderati che per lo meno non mi infastidiscono. Subito dopo, sedendomi sul letto, passo alle cure: spalmo la pomata giallastra datami nel barattolo e bendo sulle parti di pelle viva e bruciata più esposte, non potendo purtroppo fare nulla per le ali ripiegate per praticità dietro la schiena.
E così, noi dovremmo stare qua per un giorno. Un giorno intero si intende, da mane a sera, con Midnight e con una bambina. Per caso si è bevuta il cervello o cosa?
Avanti, non essere così cinico mi riprendo da solo, pur non restando convinto di quella scelta campata per aria. In fondo è stata proprio lei quella a scappare non appena i primi segni di "attenzione: bambino in arrivo" si sono fatti vicini per me e la ragazza con la quale sto, e dopo aver preso le sue cose non è più tornata mentre io facevo avanti e indietro, confinato in ospedale.
Lo continuo a ripetere perchè la cosa mi dà particolarmente fastidio, tanto che stringo una benda un po' troppo e strizzo un'occhio per il dolore, dicendomi di farla finita coi pensieri. Fermo le medicazioni, poi vado di là senza una parola, sentendo rumore di doccia provenire dal bagno. Si starà curando anche lei dato i segni, sottili ma profondi e tutt'altro che intenzionali, che le ho lasciato quando io, o meglio, la bestia l'ha vista bloccata nella metamorfosi, volendo poi andare a curiosare su quanto ci fosse sotto la pelle. Come se non lo sapesse.. sapessimo. Oh, dei, la mia testa.. devo calmarmi.
Mi alzo dal letto, tornando in sala a vedere come sta Amy mentre Midnight finisce con il suo tram tram, andandole vicino mentre accarezza e rimira l'onice illuminata di un rosso palpitante. Legione le sta parlando, intuisco, e la intrattiene un po' come farebbe il vecchio del villaggio coi piccoli componenti più giovani, raccontandole favole. Le sue manine passano senza indugio sul manico e sulla lama dell'arma che conosce come fosse sempre stata sua, poi rivolge il faccino a me, sgambettando coi piedini contro al divano che si fermano d'un colpo vedendo le bende tutt'attorno al torace.
No, no, no..
Pa.. pà.. ? Le vedo già i primi goccioloni agli occhi, e così le tolgo legione di mano poggiandolo sul bracciolo, prendendomela in braccio e stringendola.
Stt. Tranquilla, non è niente. Hai capito, Amaranta? Non è niente, Papà è qua. La sua reazione potrebbe sembrare strana da fuori, ma per chi come me ha visto, è semplicemente la più normale per sfogare tutto il disagio che le crea. Rachele ha dovuto partorire con un cesareo, ma qualcosa è andato storto e per tanto, tanto tempo è stata male, e la bambina le ha continuato a vedere bende ogni dove attorno al ventre mentre allattava. Rachele è ancora là, sotto flebo, antidolorifici e medicinali per evitare infezioni, e quando ha smesso di allattare mi ha detto di portarla via per un po' da quella visione disastrata che è rimasta di lei.
Il solo pensieri mi fa male. Ho chiamato dei risvegliati e i migliori arcanisti che ho potuto trovare e che la stanno curando, ma dicono ci vuole tempo e che devo solo aver pazienza. Ed è quella la parte più dura.. la sua mancanza, la sua assenza. Aver pazienza.
Le carezzo i capelli folti e neri che le arrivano fin quasi oltre il viso, perchè è più grande di quanto si pensi rispetto ai suoi coetanei, poi la volto a sedere, riprendendo Legione in mano. Le faccio vedere tutte le scalfiture, tutti i segni di ogni nostra battaglia, e lei ascolta ricominciando a sgambettare, segno che le sta passando. Almeno, non ha bruciato i divani.
In quel momento arriva Midnight a chiederci se abbiamo fame. Io diniego, ho assaggiato abbastanza carne umana per stare in piedi anche per oggi, poi guardo la piccola.
Tesoro, ti va di provare a mangiare qualcosa?
Lei fa si con la testa, distratta. Mi rivolgo allora a Midnight.
Avresti un bicchiere di latte e una mela, delle fragole o un qualche frutto?
La sto svezzando semplicemente, consultando libri, pasticciando, disastrando. Probabilmente non sono bravo a fare il padre, ma ci sto provando e almeno per ora quegli alimenti le bastano. Voglio che sia lei a fare le sue scelte; la potrei anche nutrire di carne umana come faccio io ma non lo faccio, per il suo bene e per la mia sanità. Sarei una bestia, se la costringessi alla mia stessa vita.
Sto ancora guardando Midnight quando noto distrattamente qualcosa fumare, con la coda dell'occhio.
Amy! Vedo che ha una manina posata sul bracciolo, che tolgo immediatamente, scottandomi ma trattenendo con un sibilo il dolore. Il calore subito cessa, sul tessuto resta il lieve segno di abbrustolimento a forma di piccola mano di bambina. Me la giro sulle gambe, la guardo molto, molto contrariato.
Non lo devi fare con gli altri! Mi osserva con la boccuccia semiaperta mentre le alzo il mento con un dito. Non siamo a casa nostra. Non. Devi! Cosa succederebbe se gli altri ti scoprissero, e ti portassero via da me? Quando riconosco che sta per mettersi a piangere, probabilmente più per l'ultima affermazione che per la sgridata in sè, mi addolcisco.
Non lo faccio più, papà.. ti prego..
Va bene, va bene le dico. Torno a cullarla, e lei mi stringe forte.
Scusami Midnight. E' che.. Non so come spiegare. Ha davvero paura di essere lasciata sola, un po' come me.

CITAZIONE
(Usato da Amy)
Incandescenza: Questo potere permette di concentrare e raccogliere il calore presente nell'etere e dalla maggior parte delle fonti esterne (venti, raggi solari, presenza di geiger naturali, calore del suolo, fuoco..) immagazzinandolo nel proprio corpo e convogliandolo a piacere livello di epidermide. Questo provoca un immediato aumento della temperatura corporea fino a livelli di incadescenza in cui si diviene in grado di provocare ustioni attraverso il tocco e di surriscaldare i metalli. Nonostante questa capacità, è impossibile appiccare fiamme.

 
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Midnight_Rose
view post Posted on 12/11/2011, 10:33




Avanti Midnight, non puoi permettere al tuo passato di rovinarti l’esistenza in eterno. No, non puoi proprio anche se sei convinta che te lo meriti, e che diavolo! Più facile a dirsi che a farsi. Avere la figlia di Raven per casa, per quanto si stesse ostinando ad ignorarla nel più palese dei modi, le scatena ricordi e visioni: Amos che rideva, che la chiamava mamma, che tendeva le sue braccine paffute per essere preso in braccio e poi gliele avvolgeva intorno al collo, che s’addormentava tra i suoi seni con la più serena delle espressioni… Amos dal collo torto, una vita stroncata ancor prima possa aver avuto l’opportunità di conoscere e capire quanto si deve. Eppure ad una parte di lei era sempre importato poco di quel demonietto, tenuto solo per rispetto del padre, salvo scoprire aveva comunque sviluppato un lato materno che aveva sofferto, e soffre tutt’ora, per la sua perdita. Rimuginarci sopra è da stolti, quindi ha preferito cementificare ed allontanare emozioni e ricordi, riuscendoci anche fino al momento in cui in casa del setita era impossibile ignorare c’era un bimbo in arrivo. Un po’ come in quel momento le viene impossibile far finta sia in compagnia di un solo adulto, pur costringendosi a tenere gli occhi sull’uomo. Sei a dir poco ridicola, Midnight! È riuscita ad uccidere un paio di quei piccoli innocenti ed adesso non è in grado di tenersene in casa uno per ventiquattr’ore, l’apoteosi della coerenza.
Annuendo alla richiesta di Raven -che un po’ la stupisce, quasi convinta faccia crescere sua figlie a sangue e carne umana, dopo quel che ha visto essere la dieta del papà-, fa per voltarsi ed infilarsi in cucina a qualche passo di distanza, quando al naso le giunge un lieve odore di cuoio bruciato. Di scatto si volta, vedendo il bracciolo del divano fumare proprio in corrispondenza della minuta manina di Amarantha. Non proferisce verbo, vedendo lui interviene praticamente subito, facendole una ramanzina forse un po’ troppo all’acqua di rose. È costretta a distogliere lo sguardo da quella visione troppo intima dei due abbracciati. Sarai proprio il tipo di padre che ogni figlia vorrebbe, Rave. si ritrova a pensare, mentre aggrotta appena le sopracciglia, il setita rivolto a lei nemmeno si stia aspettando li sbatta fuori entrambi senza troppi problemi. Potrebbe farlo, ne sarebbe sicuramente capace, ma al di là delle apparenze tiene ancora a lui ed alla sua incolumità sia fisica che psichica, per cui si limita ad un tranquillo “Se il padrone di casa mi chiede i danni glieli paghi tu.” prima di voltarsi lasciando una mezza occhiata alla piccola che sembra abbastanza mortificata e dirigersi in cucina a recuperare quanto le è stato chiesto. Fortuna vuole abbia fatto la spesa il giorno precedente e sia abbastanza ben fornita di frutta e verdura, oltre ad altri cibi freschi indispensabili in estate. Dal frigo prende qualche fragola rossa e matura, una mela, un melone non ancora aperto ed un brick di latte nuovo. Mentre mette le fragole a lavare sotto acqua corrente, recupera una ciotola di ceramica bianca, e sbuccia mela e melone, disponendo spicchi e fette nel recipiente. Le prime, invece, finiscono in una diversa ciotola di vetro, dello stesso servizio del bicchiere nel quale versa il latte, riempiendolo fino ad un dito dall’orlo. S’attarda un attimo a domandarsi come sia possibile la piccola sia in grado di sviluppare tanto calore dalle mani: che lei sappia Legione non ha di quei poteri, forse sono tutti della bambina, più precoce di quanto già l’aspetto non dica. Le sfugge un sorriso ironico: almeno, qualcosa, non l’ha presa da Raven. Recuperati anche dei tovagliolini di carta, in due viaggi dispone tutto sul tavolo di fronte al divano. “Conviene mangi qualcosa anche tu, hai bisogno di liquidi e sali minerali dopo esser finito un po’ abbrustolito.” Ancora non gli ha chiesto scusa e sicuramente non l’avrebbe fatto, non questa volta. S’accorge delle bende che gli fasciano il petto e manda gli occhi in gloria: quando mai capirà che se gli dice di non fare qualcosa un motivo c’è? “Ah, dovresti anche toglierti subito quelle bende, se non vuoi che il composto che ti ho fatto mettere si rapprenda e te le faccia diventare un tutt’uno con la pelle. Non vorrei essere costretta a strappartele via in malo modo per liberartene.” Parla tranquillamente, nemmeno fosse una comunicazione di servizio senza alcuna importanza. Ha l’impressione entrambi stiano evitando di addentrarsi su questioni che sfocerebbero in una discussione di quella con le scintille –più o meno metaforicamente parlando. Entrambi, però, hanno bisogno di chiarimenti, nei giardini è stato palese hanno lasciato in sospeso troppe questioni.
Appoggiata con un fianco al lato lungo del tavolo, parallelo a quello contro il muro, allunga una mano e prende uno spicchio di mela, gustandola e masticandola con gusto, in attesa i suoi ospiti facciano lo stesso. In realtà avrebbe voglia di qualcosa di più forte di un frutto, magari un due dita abbondanti di quel whiskey da pezzenti che s’ostina a comprare e che tiene in un’anta del mobile della cucina. Sarebbe perfetto potesse accompagnarlo da una sigaretta, ma sapendo il setita le griderebbe dietro non si concede né l’una né l’altra cosa, accontentandosi della mela. Intanto gli antidolorifici stanno iniziando a fare effetto, sollevandola dal fardello del pulsare martellante della ferita alla schiena e del bruciore delle escoriazioni del viso. Chissà, magari la bambina ha paura di lei visto il suo aspetto non è proprio dei migliori. “Dov’è la madre?” si ritrova a domandare, di punto in bianco, rompendo il ghiaccio forse nel peggiore dei modi.
 
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view post Posted on 14/11/2011, 13:48
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Quando mi viene detto il composto potrebbe pietrificare le bende sulla pelle, cosa che comporterebbe uno strap-on molto poco maschile e molto pieno di imprecazioni ai santi e avariati, mi accingo a sistemare Amy sulle gambe in modo da toglierle velocemente tutte tranne quelle che riguardano le due spinate al costato, gettandomele al fianco e riprendendomela subito dopo in braccio con davanti disposto un ben di Dio a cui Midnight ha provveduto per noi. Attento a non sporcarla col torace, le spalle e parte delle braccia unte della pomata giallastra, con le mani strizzate prima in un tovagliolo per pulirle un po' prendo una fragola, gliela imbevo nel latte e gliela porgo alla boccuccia: Amaranta si aiuta anche con le proprie manine a mangiarla, boccone microscopico per boccone, sporcandosi un poco nel farlo. Bambini.. sospiro, le tengo il tovagliolo vicino al viso ed ogni tanto la ripulisco, quando non è lei a farlo prendendone un lembo per strofinarcisi contro. Metterle un tovagliolo nel collo della maglietta, penso, è da bambini piccoli e idioti, e così la abituo a servirsi quasi da sola e con un piccolissimo contributo da parte mia.
Prendo anch'io una fragola, ascoltando il consiglio di Midnight, e bevo un po' del latte che ha raccolto in un vetro passandolo poi alla bimba, che lo prende e lo tiene con tutta l'intenzione di bere autonomamente. Si sbrodola un po', io sorrido e glielo tolgo appena ne ha preso un sorso, passandole uno spicchio di mela di nuovo imbevuto.
Mi interrompo solo quando, rompendo il silenzio, la demone mi domanda di Rachele. Ci metto attimi prima di rispondere, guardando la mia piccola sbocconcellare il frutto che le ho dato e carezzandole i capelli. Poi, con un sospiro, alzo la testa e guardo la donna.
E' all'ospedale. Non c'è inflessione nella mia voce, come se le corde vocali si fossero bloccate ad una sola frequenza. Tutte le volte che si parla di lei mi sento.. come vuoto, mancante di qualcosa. E' peggio che ricordare i miei trascorsi con mia sorella, o tutto il resto. I medici stanno cercando di curarla, ma è molto debole. Ho pagato i migliori risvegliati e arcanisti sulla piazza, ora se ne stanno occupando loro. Si riprenderà.. presto.
E' il discorso peggiore abbia mai fatto, sia per nascondere il mio stato d'animo, sia perchè non lo venga a capire la mia bimba che, in quanto a empatia verso me e sua madre, è piuttosto sensibile. Frattanto, cerco di spostare l'argomento su altri lidi. Amy è troppo impegnata a mangiucchiare per prestare attenzione a quello che diciamo finchè non sente il nome della mamma, e se lo sente.. lasciamo perdere. Mi rivolgo a Midnight con occhi stanchi verdegiallastri, e con un paio di occhiaie record che fanno pandant. Ultimamente sto faticando parecchio e la cosa delle ali mi ha sfiancato ancora di più, specie adesso che si stanno rigenerando.
E tu? Dove sei stata tutto questo tempo?
 
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Midnight_Rose
view post Posted on 14/11/2011, 15:44




Raven è la rappresentazione semovente della stanchezza: il viso tirato ed affaticato, sensazione attenuata dal colore pallido che ormai gl’è proprio, lascia spiccare un bel paio di occhiaie che sembrano gridare quanto poco abbia avuto modo di riposare nell’ultimo periodo. Stare dietro ad un bambino non è cosa semplice, lei lo sa bene, soprattutto se si è costretti a farlo da soli. Quei piccoli esserini sono in grado di portarti via energia vitale senza nessuno, loro compresi, se ne rendano conto: la sola preoccupazione non gl’accada nulla è tremendamente debilitante e poi hanno sempre bisogno di qualcosa, voglia di fare questo o quello, necessità di attenzioni che farebbero invidia al peggior egocentrico. Eppure il setita non se ne rammarica, lo intuisce dal modo gentile con cui tiene in braccio la bambina, le accosta la frutta alla bocca solo dopo averla imbevuta nel latte fresco e, soprattutto, dal modo con cui sorride nel guardarla. Dio, è tutto così assurdo. Ha l’impressione d’essere all’interno di una di quelle soap opera smielate e svenevoli dove il padre dell’anno è tutto preso dalla nuova arrivata in famiglia. Come al solito, però, lei ne è solo spettatrice, mai parte coinvolta. Meglio così, in fin dei conti, almeno non è di peso e non si complica di più la vita.
“Adesso capisco perché hai quell’aria sbattuta." Ci deve essere un motivo se, per secoli, s’è ritenuto che le miscellanee tra razze non siano da farsi. Fin da quando aveva saputo della gravidanza della compagna di Raven s’era domandata se la cosa avesse veramente senso, se fosse in caso di farla andare avanti, ma non vi aveva mai voluto mettere becco. Per quanto potesse, e possa ancora, preoccuparsi per lui certe decisioni gli spettavano completamente ed un suo parere avrebbe potuto influenzare la scelta, qualsiasi fosse stata. Ne era certa e tutt’ora non ha ancora cambiato idea. “Spero recuperi presto. Se hai bisogno di un contatto, posso offrirtene un paio che potrebbero esserle d’aiuto.” È sincera: sa lui ha bisogno d’aiuto e la demone non è la persona adatta per fornirgli ciò di cui ha bisogno, però la sua professione le ha permesso di venire a contatto con le personalità, e creature, più strane e per quanto sia incline alla diffidenza ha recuperato qualche numero di telefono da utilizzare in cado d’urgenza. Inoltre ha una lista bella lunga di persone che le devono un favore. Addentata una fragola, risponde alla domanda del setita con un’alzata di spalle noncurante. “Sono sempre stata nelle vicinanze, anche per tenere d’occhio la tua situazione, e mi sono limitata a fare quello che continuo a fare da quando sono arrivata qui: vivere sotto la menzogna di Ambrosine e fare la mercenaria al soldo del miglior offerente.” Si ritrova a sperare non nasca una discussione e lui si eviti domande del tipo ‘e se eri qui, dannata testa di rapa, perché mi hai lasciato in balia di tutto quello che mi è successo?’, perché proprio non aveva voglia di mettersi a spiegare il panico l’era preso quando aveva capito l’arrivo del bambino era imminente. Un poco intontita dal paio d’antidolorifici ingurgitati prima si porta alla poltrona consunta accanto al divano, dove si lascia andare finendovi seduta non in modo propriamente composto. Lascia trascorrere diversi minuti di silenzio, non sapendo bene come far proseguire quella che sembra una pazzia. È come se avesse davanti un muro che non riesce ad infrangere, invisibile, contro cui rimbalza senza farsi male. Un sospiro, una mano portata tra i capelli già mezzi asciutti per via del caldo di quei giorni d’agosto. Fortuna l’afa sta dando un po’ di tregua, fino ad una settimana prima l’aria era irrespirabile, densa e pesante come caramello fuso. “Forse è meglio tu e la piccola andiate a riposare un po’, non hai davvero una bella cera.” Eccola lì, la sua brutta abitudine di rimandare, d’allontanare i problemi per non essere costretta ad affrontarli a meno che non sia strettamente indispensabile. Inoltre finire a litigare com’erano soliti fare loro due nella peggiore delle occasioni –e gli argomenti che avevano in sospeso non avrebbero potuto portare ad altro- e farlo davanti alla piccola non era proprio la scelta più furba. “Oppure no. Non lo so. Fai come se fossi a casa tua.” Una sigaretta, aveva un dannatissimo bisogno di quel poco di nicotina che le scaldava l’animo di ghiaccio. Temeva tutto eppure niente, così presa dalla mania di fingersi la donna tutta d’un pezzo che non era più da molto tempo. “Devo sistemarti le ferite, anche.”
 
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