Qualcuno definiva le città una foresta di palazzi, di case, di costruzioni. Certo poteva sembrare vero, entrambi pieni di vita, spaesanti se visti per la prima volta, con i loro animali, i loro ritmi, le loro vie e i loro segreti. Ma avevano una sostanziale differenza e non era che le metropoli e le città erano costruite e quindi artificiali, quello era ovvio, ma era l'artificiosità. Una città era costruita seguendo un ordine logico, strade il più agevoli possibili, zone industriali separate dal resto, quartieri, vie, viuzze, centri commerciali e quant'altro. Tutto seguendo un progetto, un modo per ottimizzare la vita delle persone, per tenerle in una routine, inquadrate in una vita e all'interno di schemi precisi. Prestabiliti. In una metropoli, non sorgeva nulla per caso. La foresta invece, quella vera, non aveva nulla di tutto questo, nulla di artificioso. Poteva sembrar banale ma la foresta, il suo movimento e la sua vita, erano semplicemente naturali. Dettati dal caso, spontanei. Cosa decisamente sottovalutata nel momento in cui si nasceva, si cresceva e si viveva lunghi anni senza mai vedere altro che costruzioni, edifici, strade, fiumane di gente tutti con gli sguardi abbassati e concentrati a farsi i fatti propri, tutti con vite clone l'una dell'altra: casa-lavoro e lavoro-casa poi il bar la sera e un film la domenica. Difficile, se non impossibile, uscirne. Non si dava scampo al resto, annichilita qualsiasi forma di distrazione non rimaneva che amalgamarsi all'abitudine. Divenire piccola parte di un tutto, non unica, non singola, ma fotocopia di tutte le altre piccole parti del tutto. Scarnificata dall'importanza e dalle proprietà uniche, ridotta ad un semplice "1" senza zeri affiancata a migliaia di altri migliaia, miliardi, di "1" che formavano la popolazione complessiva del pianeta. Vite piatte, oscure, isolate. Senza uno spiraglio di luce o di novità. Ma come nel famoso libro esistono città invisibili, ogni città è doppia, ogni metropoli porta con sé un atra metropoli, nascosta. La città del topo e la città della rondine, la prima pregna dell'essenza visibile della metropoli, la seconda costantemente in procinto di nascere dalla seconda è l'espressione della libertà e della spensieratezza. L'istinto del bosco che come un barlume si fa strada in pochi e veloci sprazzi di naturalezza. Non la si trova se la si cerca ma rimane costantemente ai margini della vista, percepibile con la coda dell'occhio. Anche Anderville è doppia e, forse pure più di altre, può vantare non solo la città del topo e della rondine ma anche quella dell'angelo, del vampiro, dell'arcanista e del cacciatore. Una città diversa, una Realtà diversa, per ognuna delle razze che popola l'ammasso di edifici e i suoi dintorni. Anderville ha il bosco, il bosco che è spiraglio di vita, vita vera, nascosta agli occhi dei comuni ma fortementre presente per chiunque sappia cercare, accettare. Proprio quello era il problema, l'uomo si rifiutava di accettare anche quando aveva la realtà ad un palmo dal naso. Chiudeva gli occhi e tirava diritto. E nonostante la cecatura forzata il mondo viveva in equilibrio, quasi in armonia. Multiple realtà e multiple vite si mescolavano per dare origine ad un intreccio, una tela colorata e intricata ma, forse, con un disegno ben definito. Un disegno che stava portando Kaien ad incontrare qualcuno nel bosco deserto.
Cercava, cercava e ancora cercava. Non si preoccupava del rumore, non troppo. Non si curava di nascondere tracce e muoversi silenziosamente ma se riusciva ad evitare di creare frastuono lo faceva. Mediamente silenzioso quindi, anche perchè il suo obbiettivo era quello di trovare un fiore ben specifico, non l'aveva mai visto prima ma sapeva avere un colore blu scuro con sfumature sul violaceo verso l'attaccatura allo stelo, il quale più che un verde brillante dava sfoggia di un colore più giallognolo, come l'erba secca. Poche spine e foglie leggermente seghettate completavano il tutto. Arrivato a questo punto temeva di non trovarne nemmeno uno... Era lì dal mattino presto e, sebbene non avesse guardato l'ora, sapeva erano passate diverse ore. Il sole si era spostato parecchio ne cielo. L'aria fresca della mattina stava diventando man mano più calda per via dell'assenza totale di nuvole. Ogni stanto si sentiva una bava di vento utile a rinfrescare più l'animo che il corpo, la stanchezza fisica era lungidal farsi sentire ma l'artigiano si stava infastidendo nel non trovare quello che cercava. La mano andò automaticamente ad un piccolo sacchetto di cuoio allacciato alla cintura. Conteneva le pietre della ricerca, le tre piccole sfere azzurre che avevano il potere di trovare qualsiasi cosa. Non che avesse intenzione di usarle, il movimento della mano era stato un gesto del tutto automatico e involontario, ma era talmente abituato ad averle con sé che erano divenute parte di lui. Le trovava senza cercarle e sapeva dove erano senza doverci pensare. Erano da considerarsi un solo oggetto ed erano assolutamente preziose. Non tanto per il valore monetario ovviamente, quanto per la storia che si portavano dietro. Un avventura intensa e pericolosa conclusasi in uno scontro con un demone di cui rimase, appunto, solo l'artefatto in questione. Era trascorso molto tempo da allora e ancora ne portava i segni, la cicatrice che portava in volto mai sarebbe scomparsa così come l'occhio trapiantato mai avrebbe preso il colore di quello natuarle, da allora aveva acquisito, o meglio costruito di propria sponte, altri importanti oggetti da cui si seprava molto difficilmente. Uno lo aveva al collo, uno alla vita e l'ultimo, quello regalatogli, al pollice. E nonostante fossero due su tre praticamente sempre con lui solo le pietre avevano raggiunto tanta importanza da essere sempre, perennemente presenti. Tanto da essere una cosa scontata per l'artigiano.
Continuò a cercare, senza pietre ma con il semplice ausilio degli occhi. Entrambi. Quello grigio, quello freddo e quasi brillante, in una situazione come quella non serviva ad altro che guardare come un occhio comune. Servivano altre presenze per attivarne il potere. E anche come un occhio comune serivì comunque a qualcosa, rapidamente si mosse e nella mancina comparve il taglierino, o cutter come pretendeva il termine inglese, pronto a recidere il gambo del fiore. Arrivato al cespuglio alla base dell'albero, al limitare di uno spiazzo troppo piccolo per essere chiamato radura, già stava puntando il suo obbiettivo quando, come si fosse trattato di un semplice scherzo della luce, un gioco di ombre, questo scomparve. Decisamente irritato diede un calcio, non troppo energico, al cespuglio e sbuffò. Immediata conseguenza fu quella di stendersi e stiracchiarsi, inarcare la schiena per rilassare i muscoli.
Non è un po' pericoloso stare nel bosco da sola per una ragazza? Non sempre ci gira brava gente...La frase era seguita ad uno sguardo un po' sorpreso, fissatosi casualmente sulla figura di una ragazza, forse sulla ventina, vicina ad un tronco caduto e pieno di muschio su cui si poteva vedere un libretto colorato. Che fosse stato qualche strana angolazione della luce riverberata su quella copertina a fargli vedere una macchia del colore giusto nel cespuglio di prima? pareva parecchio strano.
Una folata, poco più forte di un refolo, calda, estiva, gli passò fra i capelli e scostò le fronde degli alberi sopra di lui. La luce scacciò le ombre e mise ben in mostra i suoi occhi bicromi, lo sguardo duale dell'artigiano squadrò la donna. Spesso era difficile capire cosa gli passava per la testa proprio per quello, ancora non si era accorto che con quelle parole, un taglierino in mano e il volto sfregiato poteva passare tranquillamente lui per il malintenzionato. Nel frattempo, però, la sua testa stava elaborando la teoria opposta. Donna, giovane, apparentemente indifesa nel bel mezzo del bosco. Strano, molto strano. Ergo o era completamente folle o non era ciò che sembrava. E nella seconda ipotesi forse doveva prepararsi a menar le mani e, oppure o, scappare. Beh, non era impreparato e mentre seguiva quel filo di pensieri il pollice fece fare tre scatti alla sicura della lama che impugnava per estrne un altro paio di centimetri. Oltre questi c'era solo la punta ma in situazioni normali erano più che sufficenti per ferire, anche mortalmente qualcuno. E per situazioni anormali c'era da considerare che quella era una lama incantata. Certo, per lavoro, ma comunque incantata...
Chiedo scusa in anticipo se non sarò sempre celere nel rispondere ma non sempre ne ho modo ^^
Scusa se aggiungio dopo ma mi sono ricordato solo ora una cosa abbastanza importante. Potresti abilitare la firma quando posti? con i bannerini che portano alla scheda è molto comoda per i vari mod7admin/founder eccetera ù.ù
Edited by Stee Jans - 1/4/2011, 14:14