| Sono piacevoli note dolenti quelle che riceve in seguito, appassionate e letali, vivide negli occhi fiordaliso a lui noti, voluti, ricercati. Spostamenti brutali e repentini, con cui si scontrano lui viscido come una serpe e l'altro forte dei suoi muscoli, della stazza e della forza. Giochi familiari in cui ci si fa del male per volere bene, si costringe per dimostrare. Avventati l'uno sull'altro, Thomas lo afferra violento per il colletto, l'altro gli stringe le mani sui polsi trascinandolo senza sia capace di puntare i piedi abbastanza da fermarlo, a terra. Oltrepassano scalette e tende più confortevoli, sollevate al primo piano, che non sono quelle già viste; si appropriano del loro spazio privato, furie divine fatte carne e sangue. Il biondo domina, è lui quello inerme che si lecca il sangue dei morsi dalle labbra, il profilo fiero su cui spunta un largo sorriso divertito. Altro alcool versato in un bicchiere da cui viene costretto a bere, gettato e bloccato su un largo divanetto di pelle senza schienale, le labbra premute al bordo. Sugge, tossisce. Si sente tirare i capelli e strattonare all'indietro il capo, le mani profane su di sè, affatto gentili ma neanche prive di cure. Ride di derisione, risputa indietro ciò che gli viene fatto ingerire. Il biondo si pulisce la faccia, sornione, e gli slaccia la maglia. Toglie la sua e gli si preme addosso di peso, mozzandogli letteralmente il fiato da tanto gli schiaccia i polmoni. Il rombo ch'è la voce dell'altro si fa sentire, profondo, carnale. Presagisce tempesta. Ha finalmente trovato il modo di tappargli la bocca.
Non sa quanto tempo sia passato. Non sa quanto abbia parlato e delirato, di cosa poi non se lo ricorda nemmeno. Il cervello svuotato e ammorbato dalle bevande gli sembra così leggero che potrebbe volarci, dopo tutto quello che gli è successo poi. Mhm... Fermo e addossato all'altra spalla maschile, si lamenta del movimento del biondo. La schiena contro il suo petto, con gli occhi socchiusi si gira nella sua presa e gli cerca la vita, l'abbraccia e vi si avvinghia senza una parola. Una mano gli passa tra i capelli mori, glieli sparpaglia con delicatezza. Passano minuti prima sia l'illusionista il primo a rialzarsi, cercando i pantaloni gettati a terra e rimettendoseli seguiti poco dopo dagli stivali. L'altro lo guarda mentre lui si riveste a tentoni, acciaccato, felicemente dolorante di morsi, tagli e graffi ricevuti. Non si lamenta affatto, dal momento era ciò che voleva ottenere. Te ne vai di già? Rompe il silenzio, il compare che gli sventola la maglia in pelle sotto il naso, senza ricevere più di un cenno di risposta da uno sguardo perso sul suo corpo. Alquanto discinto è anche più bello di quanto si voglia sperare ed i riflessi e il buio sembrano fare da cornice perfetta per la sua luminosità di stella caduta sulla terra. Se non fosse proprio lì, dubiterebbe sia più reale dei suoi sogni, più tangibile di un fantasma: impeccabile, avrebbe solo un rivale perfino tra gli dei, qualcuno che gli assomiglia in maniera inquietante. In effetti, rabbrividisce Thomas, potrebbe essere il quarto figlio di loro Padre e nessuno si accorgerebbe della differenza, sia per la similitudine fisica, sia perchè in pochi osano mettersi contro il più sommo dei Padri. Lascia in bando tali pensieri per godersi ancora un attimo di pace, però, facendosi passare nel frattempo la parte di vestiario detenuta lontano da lui, rindossandola per chiuderla al fianco con, cosa inaspettata, una moderna e quasi invisibile cerniera dalle minuscole dimensioni. Fa per alzarsi da seduto quando la mano di lui, ancora disteso e ignudo, lo afferra per un braccio. Non vuoi trattenerti ancora? Possiamo fare altro. Parla preoccupato, forse temendo finito l'interludio tra loro sia tutto terminato. Non è così, c'è dell'altro: confusione, frustrazione, insofferenza. Non sa nemmeno lui cosa gli passa per la testa, pieno come una botte. Perchè non mi rispondi? Mezzo sfatto, si passa una mano sulla fronte. Scuote il capo, ma il moro non riesce a scacciare quella fastidiosa sensazione che lo assale. Il sudore freddo gli cola dalla fronte mentre pensa dovrebbe bere ancora. Hai scelto... la persona sbagliata. Biascica, afferra bottiglia e bicchiere, si versa il contenuto fino all'orlo e lo svuota in un soffio, conscio del fatto abbia iniziato a risentire di una leggera nausea. Ecco che lì si fa sentire, la sua debolezza, col fegato che gli duole per la velenosa ubriachezza. Non hai niente di sbagliato, davvero tenta di rassicurarlo l'altro. Il biondo si alza in piedi, lo guarda dispiaciuto. Se è per qualcosa che ti ho fatto, io credevo... E' stato tutto perfetto. Sei stato perfetto. gli risponde interrompendolo. Cerca di centrare di nuovo il bicchiere, ma è costretto a bere a canna perchè ormai non ne distingue più i contorni. Ingoia un lungo sorso e riprende fiato, pulendosi la bocca col dorso della mano. Sono io che non vado. E... la mia testa... nel vederlo toccarsi le tempie, l'uomo si alza, si avvicina a lui. Tenta di levargli la bottiglia di mano con delicatezza e gli tocca la spalla rassicurante, non solo bello ma addirittura troppo buono. Pensa forse di esserne degno, lui, male incarnato, affascinante fuori e marcio dentro? Pensa di essere capace di sopportare tutto quel raggiare, luce che gli ruba attimi di preziosa oscurità a lui vitale? No, no. E' solo un uomo, un mortale. Se lo ricorda, come non gli bastasse il taciuto fastidio che inizia ad ingrandirsi. Non potrà mai essere pari a lui nemmeno in secoli. Non potrà raggiungerlo in millenni, nè superarlo. Lui ha decretato la fine degli uomini e così sarà. E allora perchè si dà adesso tanta pena per quell'essere comune e banale? Non essere duro con te stesso. Le dita di guerriero gli toccano il mento, piano. Sei adorabile. Il complimento lo lascia stordito, almeno quanto l'abbagliante sorriso del suo compagno a cui non può, non vuole credere. Lo osserva intontito per attimi e poi svia, guarda altrove. Lasciami... non... fatica non solo a parlare, ma a connettere. Per favore. Si scosta, fa per andarsene e ancora viene bloccato. Cosa stai dicendo? L'uomo lo trattiene per la spalla, ora vagamente torvo. Cosa c'è che non va? Lasciami. Sei ubriaco. Devi sederti. Lasciami, ho detto. Ti farai del male, così! Senza accorgersene, il biondo lo fa voltare in sua direzione con uno strattone un po' più forte del previsto ed ecco che il dolore arriva, secco e brutale, e gli attraversa tutto il braccio, un male che percepisce come la causa del gesto troppo brusco. Porta la sinistra alla clavicola opposta, rimanendo a boccheggiare in silenzio, l'altro si accorge dell'errore e si accinge anche a scusarsi. Non sarebbe nulla, non opporrebbe resistenza, se ne andrebbe e basta non fosse per il fatto lui lo tocca di nuovo. Probabilmente il giovane nemmeno sa cosa provoca con quel gesto, semplicemente desideroso di scusarsi. E invece, inconsapevolmente, scatena qualcosa di improbabile. Col cervello intriso di alcool nemmeno Thomas potrebbe farci nulla o fermare, controllare, arginare l'andivieni di emozioni che lo dirigono come un burattino in balia dei suoi fili. La tanta leggerezza di prima lo tradisce, perchè in realtà è totalmente fuori controllo. Vorrebbe bloccarsi e fermare il tempo, solo non s'è accorto del vero pericolo - lui stesso - prima di adesso. Non gli umani, non il luogo, non qualsiasi altra cosa. Lui. Il dio ingannatore non può tradire sè stesso, non può evitarlo. Non può disattivare la carica che sta per spingerlo ad esplodere. Adesso è il momento. E adesso è troppo tardi. Ho detto di lasciarmi, mortale! Uno spintone. Uno e uno soltanto, e l'uomo vola sul divano all'indietro cascando di schiena, non capendo cosa gli sia successo improvvisamente. Nemmeno Thomas capisce cosa succeda, sa solo ha un bicchiere in mano, e il momento dopo ha solo il collo appuntito, spezzato. Sono un Dio! urla, bruciante di furia. Gli sale addosso, le ginocchia piantate nella copertura, gli stringe la gola con una mano, l'altra dal braccio acciaccato sollevata con lo spuntone di cristallo impugnato come un coltello. Come osi toccarmi senza il mio consenso? Paonazzo, chiude la morsa, asfissiandolo poco a poco. Come ti permetti di pretendere da me? Come?! Le labbra arricciate, digrigna i denti, rabbioso come il potere che genera e che si spande attorno a lui. Qualsiasi cosa, perfino i mobili, sembra arretrare al suo cospetto. Ti prostrerai, adesso. Ch- Giurerai al mio servizio. Che... diavolo di g-gioco è questo? Ti inginocchierai ai miei piedi. S-sei... malato Lo farai. I biondi capelli sparsi sul divanetto, l'uomo lo guarda, le sue mani non abbastanza forti sulla sua che gli stringe la gola. Il moro, per nulla in sè, grida tanto da spargere saliva che gli cola anche dal labbro inferiore. Gli occhi umidi guardano, impazziti, e la parte più inconscia in sè prega lo faccia, perchè non osa guardare alle conseguenze. Invece, il volto coperto di lieve barba si contrae tentando di trarre respiro. Ansima senza fiato più volte. LO FARAI! Il tono già alto diventa quasi strozzato, e il silenzio cala subito dopo. Lo scuote con forza allora, cercando di far venire fuori da quel corpo una risposta, una qualsiasi. Ha sopportato per troppo il silenzio, tanto da non poterne più. E infine, qualcosa arriva. No. Chiaro e forte, il rifiuto gli riverbera dentro, rimbalza tra le pareti della sua anima. Scuce vecchie ferite a cui nemmeno sta pensando, svela inenarrabili tempi passati e qualcosa di più intimo, di troppo intimo e debole in lui. A occhi sgranati, non può credere a ciò che sente. Non può credere all'ennesimo tradimento perpetrato ai propri occhi, uguale a quello infertogli dal fratello maggiore. Simili, e non solo fisicamente, mentre trabocca di furia. E' proprio uguale a lui. Deve pagare. Deve, per questo. E così il braccio cala. Poi il niente.
Solo questione di un attimo, di rapidi movimenti non pensati. Non si rende conto di ciò che fa, Thomas, ma è abbastanza perchè se ne penta amaramente secondi dopo, quando riprende un minimo la lucidità e la rabbia svanisce lasciandolo vuoto e debole come un palloncino appena sgonfiato. Si trova improvvisamente a guardarsi le mani, il moro, senza capire il motivo di tanta sozzura, il perchè dello spuntone di bicchiere che tiene spasmodicamente chiuso nella destra macchiata. Quando si passa il dorso sulla faccia, altre scie insanguinate riempiono il braccio bianco schizzato di rosso. All'improvviso, come risvegliato da uno schiocco di dita, gli pare di comprendere. Spera, prega non sia così fino a quando non abbassa gli occhi, fino a quando la realtà e l'evidenza gli saltano addosso come animali all'agguato. Le labbra gli tremano. Gli occhi verdi, sconcertati e grandi di orrore, si riempiono di lacrime. Un singhiozzo strozzato gli esce dalla bocca. Il pezzo rotto gli cade dalle mani e raggiunge terra con un tintinnio lieve, un sogno lontano, troppo. Fratello? chiede, con voce sottile. Prendendolo per le spalle, scuote il biondo senza risposte. Non lasciarmi... Stavolta gli tocca il viso, lo accarezza, l'espressione piegata da un dolore immane. Ti prego, no. Le pallide dita macchiate di sangue colorano le ciocche di grano quando gli sostiene il capo e gli passa un braccio sulla schiena, portandolo a sè nonostante il peso notevole. Osserva gli occhi azzurri e vuoti di cui non può fare a meno, la linea degli zigomi, del naso, del mento. Le lacrime iniziano a colare copiose nell'abbracciarlo stretto, cullandone il corpo esanime ancora caldo, il dondolio ritmico che segue il mugolio di una nenia antica che conoscevano solo loro, solo lui e il primogenito. La usavano la notte, quando rimanevano soli, spauriti e privi della luce delle candele o delle stelle. La cantavano insieme e insieme s'addormentavano, l'illusionista ancora troppo piccolo avvolto nel mantello di colui che, anni dopo, l'avrebbe deriso e allontanato. Una volta si volevano bene, pensa. Una volta si prendeva cura di lui. Ora non più. Ha iniziato tempo fa a far del male alle persone che gli davano senza chiedere nulla in cambio. Ha soltanto ucciso un umano, si direbbe normalmente, l'ha fatto molte volte con nulli rimorsi. Perchè questo è diverso? La risposta l'ha impressa a fuoco nella mente, la conosce già da millenni: perchè l'ha amato senza rifiuti. Perchè l'ha accolto senza disgusti e rimpianti senza pretendere. Cos'ha dato, in cambio, lui? La sofferenza e poi la morte, incapace di cambiare il proprio cammino.
Le pareti non riescono a fermare l'urlo straziante del moro, e se lo fanno, lo fanno solo a livello sonoro. E' però ben altro che arriva alle menti altrui, un lungo lamento, qualcosa di incomprensibile che lascia intuire solo sofferenza e disperato bisogno d'aiuto. A chi chiedere quando è ubriaco, debole, distrutto? A chi rivolgersi, se non può nemmeno sollevare da sè il corpo od utilizzare i propri doni, inservibili se non riesce a pensare? La sua scelta è solo una, assolutamente priva di logica, azzardata, insensata. Idunn. Le manda un'illusione di sè stesso per avvertirla, esattamente uguale a com'è ora, talmente reale da sembrare essere tangibile. Appare all'improvviso accanto a lei, ovunque lei sia, e come ordina le comunica un breve messaggio che le dice dove salire, di fare presto. Tanto quanto lui, la sua copia illusionaria è sconvolta, le guance bagnate, le parole sconnesse e il dolore impresso in faccia, qualcosa di viscerale che va aldilà delle emozioni umane. La chiama in aiuto, incurante dell'umiltà. La raggiunge, la esorta ad affrettarsi, per favore, per piacere. Poi la visione sparisce con le proprie ultime parole. Prima di crollare, le dice. Prima di crollare.
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