| Una giornata come un'altra, il sole alto nel cielo scaldava l'aria che, muovendosi in una brezza leggera, allontanava quella sensazione di calura sulla pelle. Ma l'aria era opaca, lo si notava guardando in lontananza, oscurata dallo smog, inquinamento che attaccava il naso e la gola. Ma le persone tutte intorno ignoravano, come avessero perso l'olfatto, come avessero gettato al vento gli occhi. Era sempre stato così. L'umano medio non vedeva, non voleva vedere. Eppure quella nebbia feriva il cielo, così profondamente da farlo urlare. Pensava di poterne sentire la voce quasi, come ad un uomo a cui stanno gettando sale sulle ferite aperte. Quindi decise. Andò al bosco, non aveva un mezzo ma ne recuperò uno, non suo ovviamente, e si immerse nella natura. Si dovette accontentare, riusciva quasi a stare in pace, anche se certo non poteva definire quei quattro alberi in croce una foresta. Ma ascoltò comunque le voci dei suoi fratelli mentre a passi lunghi esplorava, cominciando a conoscere quella terra e i suoi abitanti, così differenti dal centro cittadino praticamente lì accanto. Ascoltò, esplorò e si fece conoscere, mentre portava un po' di rispetto in una terra violata e violentata dall'uomo. Anche lì la presenza umana si faceva vedere. Qualche tempo addietro doveva esserci stato un incendio in quella zona, anche se la vita si stava già riappropriando di quello spazio. Ovviamente. Il solo pensiero delle fiamme lo fece rabbrividire un attimo. Si sedette dopo aver potato d'un ramo spezzato un vecchio sofferente, elevò una preghiera e si mise a lavorare. Incidere il legno per richiamare una forma definita da quella sostanza ormai morta. Dovette scavare nella memoria, a fondo, per recuperare l'immagine che voleva riprodurre esattamente sgrossando il legno con il metallo. E dopo qualche tempo si rese conto che era il tramonto, aveva riposto il coltello nella cintura, alzò gli occhi al celo contemplando una decisione. Sarebbe stato meglio rientrare in città a piedi ma avrebbe avuto difficoltà a trasportare la legna, e aveva in mente di recuperarne parecchia, quindi si diede da fare con l'operazione di recupero. Spogliò i suoi fratelli di ogni pezzo morto, morente o comunque destinato ad essere sacrificato. Una rozza ma efficace potatura insomma, e pulì il terreno. Quasi gli dispiacque per il futuro nutrimento di quella terra ma era necessario; caricò tutto sulla camionetta presa quella mattina e mise in moto. Prima di dirigersi alla destinazione finale, la piazza, aveva dovuto fare un paio di cose: innanzitutto aspettare che la zona da lui designata fosse sgombera, e poi eliminare quella fastidiosissima luce artificiale, e anche così la diffusa luminescenza della città continuava a ferire gli occhi. Altro inquinamento che si sommava al resto... Era comunque decisamente meglio. Aveva spento ogni singolo lampione della piazza e praticamente tutti gli isolati attorno, forse un po' esagerato ma non era un elettricista, il corto circuito che aveva provocato evidentemente aveva coinvolto più di quel che aveva progettato. In ogni caso ora non ci sarebbero stati occhi a vederlo nella sua forma originale, era talmente naturale passare da una all'altra che non si rese conto del momento esatto in cui cominciò ad essere il legno, e non la carne, a svuotare il furgoncino, esattamente al centro del selciato che tappezzava la terra di quella piazzetta. Così prese dall'abitacolo il bastone intagliato la mattina e lo mise al sicuro, separò il serbatoio dal resto del veicolo (cosa che causò un po' di fracasso oltre che le perdita di integrità del mezzo) e ne sparse il contenuto sulla catasta, a quel punto si sbarazzò dell'ormai inutile ferraglia che finì all'angolo. Il rumore avrebbe svegliato qualcuno ma era già tornato in forma ibrida, nessuno l'avrebbe colto nella sua forma elementale. Prese l'accendino, preso anche quello alla mattina, già non ricordava più dove, e dopo un profondo respiro lo gettò sulla catasta. Quasi la fiamma non toccò nemmeno che la legna avvampò. A distanza di sicurezza Samhir osservò per un istante il rogo, mentre la bocca gli si seccava e le orecchie gli ricordavano l'ira malcelata dietro quel rombare delle fiamme. Il fuoco gli faceva sempre paura, anche quando era necessario maneggiarlo. Era un bene avere paura, il fuoco era distruzione. Era un bene sapere quando maneggiarlo, il fuoco portava vita nuova. Consumando quella vecchia, era un bene avere paura. La preparazione aveva richiesto tempo ma finalmente, attorno alla mezzanotte nella scansione dei giorni umana, ombre mulinarono sulle pareti degli edifici circostanti, richiamando la folla, sarebbero arrivati gli spettatori. Ma nessuno avrebbe preso parte al ballo, era pronto a scommetterci. La tribù non sarebbe arrivata. E la sua ombra cominciò a muoversi, guizzante e veloce, percorrendo tutto il cerchio di mura. Con l'asta sciamanica intagliata di fresco, un po' rozza forse ma riproduzione fedele di quella del sacerdote della sua tribù, Samhir cominciò canti e balli. Si era anche cambiato, ovviamente, e chiunque fosse giunto avrebbe visto un indigeno africano ballare attorno al fuoco, con capelli verdi e intento ad elevare il suo canto agli uomini, così cechi e sordi. Non poteva guarire quella terra ma forse avrebbe potuto dare una possibilità di aprire gli occhi a quella stolta gente.
Edited by Garet Jax - 16/5/2012, 13:38
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